Italia

Sette migranti morti nel Canale di Sicilia; Caritas Agrigento: «Gestione emergenziale non aiuta»

In questi ultimi giorni sono circa un migliaio i migranti, in maggioranza profughi eritrei, sbarcati sulle coste trapanesi, agrigentine, a Pantelleria e Lampedusa. Le Caritas e le Chiese locali non sono ancora state coinvolte nell’accoglienza: “Non siamo autorizzati ad entrare nei centri di accoglienza né a fare altro – precisa Landri, che è in continuo contatto anche con Lampedusa -. Si parla di 250 eritrei nel territorio agrigentino, l’accoglienza è gestita dalla questura. I numeri sono ancora nella normalità, cui non c’è stato bisogno del nostro supporto”.

Secondo il direttore di Caritas Agrigento finora “sembra la routine degli sbarchi estivi, ma rispetto all’emergenza Nord Africa del 2011 c’è una differenza: molti sono eritrei, che possono chiedere la protezione internazionale ed entrare nell’accoglienza per richiedenti asilo”.

Inoltre, osserva Landri, “sono cambiate le rotte. Ora arrivano direttamente in Sicilia, ma sono viaggi più rischiosi e i morti nel Mediterraneo lo testimoniano”. “Gli orientamenti politici non sono cambiati – denuncia -: il fenomeno migratorio continua ad essere affrontato in modo emergenziale, mentre in un mondo globalizzato le dinamiche geopolitiche dovrebbero interessare tutti i governi, visto che una buona fetta della popolazione mondiale vive situazioni di persecuzione e ha diritto ad una vita più serena”.

“Il nostro approccio non è sufficiente – prosegue -. Perché su sette morti scoperti oggi, chissà quanti ce ne saranno di cui non si sa nulla”. Il suo invito è “ad affrontare la questione migratoria in maniera più organica, corresponsabile”. “Quest’anno – suggerisce – il numero limitato di sbarchi avrebbe consentito la costruzione e gestione di un sistema di accoglienza più organico, invece non è stato fatto assolutamente niente. Siamo sempre in attesa di emergenze, pronti ad intervenire nell’eventualità, con il solito sperpero di denaro e le inefficienze”.

Si potrebbe, inoltre, “provare ad interagire con organizzazioni locali, per studiare un sistema di regolarizzazione della migrazione, soprattutto per chi ha diritto all’asilo, per garantire la giusta accoglienza e protezione soprattutto alle persone più vulnerabili”.