Italia

Testamento biologico, tante le questioni ancora aperte

di Riccardo Bigi

«Di cosa parliamo, quando parliamo di testamento biologico? Questo – spiega padre Maurizio Faggioni – è il primo punto da chiarire. Per alcuni, rappresenta semplicemente un modo per mettere ordine nelle questioni che riguardano il “fine vita”, per altri è un modo per affidare alla scelta del singolo individuo ogni decisione sulla propria morte, aprendo la strada a forme di eutanasia o di suicidio assistito».

Padre Faggioni, medico, esperto di bioetica e docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale, è stato tra i partecipanti del confronto pubblico, un «town meeting», sul testamento biologico che si è svolto sabato 25 aprile a Firenze (e in contemporanea a Torino), per iniziativa della Regione Toscana. Un incontro che voleva promuovere su questi temi un confronto aperto: padre Faggioni non nasconde che forse, nella volontà dei promotori, c’era anche la speranza di poter arrivare a un pronunciamento finale che potesse in qualche modo influenzare in una certa direzione il lavoro del Parlamento che sta legiferando proprio su questa delicata materia. Alla fine invece non è stato possibile approvare nessun documento finale, e molte questioni sono rimaste aperte.

«È stato comunque un bene partecipare – sottolinea il francescano – perché come cattolici abbiamo potuto far sentire la nostra voce». Il lavoro si è svolto per piccoli gruppi di una decina di persone: in ogni gruppo c’erano esperti e semplici cittadini, medici, giuristi ma anche persone interessate a questi argomenti. Tra i promotori, qualcuno aveva sollecitato anche la partecipazione dell’Arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori. «L’Arcivescovo giustamente non ha partecipato – spiega padre Faggioni – perché non era un incontro di livello istituzionale, ma un confronto in cui ognuno partecipava a titolo personale, come semplice cittadino, portando le proprie idee e le proprie esperienze: la presenza del Vescovo non solo non era necessaria, ma non sarebbe stata neppure opportuna. I cattolici però erano presenti in buon numero, grazie anche all’impegno di alcune associazioni come Scienza & Vita o il Movimento per la Vita. E ognuno ha potuto portare le proprie argomentazioni. Certamente, deve essere chiaro che quello dei partecipanti a questo incontro non era un campione rappresentativo della società italiana: sarebbe sbagliato se qualcuno cercasse di strumentalizzare questo confronto per trarne delle conseguenze, per leggervi l’espressione di un orientamento degli italiani in un senso o nell’altro».

Anche Marcello Masotti, presidente fiorentino di Scienza & Vita, ha voluto ribadire in un comunicato che la partecipazione dell’associazione era legata agli scopi espressi nella presentazione della manifestazione, che erano quelli di dar vita a una «discussione approfondita», in cui «non contano i  numeri, ma le idee». Sarebbe sbagliato, dunque, cercare di dare a questo incontro «carattere rappresentativo di una volontà popolare».Molte questioni, dicevamo, sono rimaste aperte. Ma quali sono i «nodi» più complicati da sciogliere? «Un tema su cui ci siamo confrontati – racconta padre Faggioni – riguarda il ruolo del medico nelle decisioni da prendere quando il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà. Qualcuno vorrebbe affidare alla persona ogni decisione sulla propria vita; molti però riconoscono anche il rischio di lasciare questo tipo di decisioni a un confronto tra il medico e un pezzo di carta. Per questo credo sia importante cercare, come la legge attualmente in discussione cerca di fare, un punto di equilibrio. Il medico deve certamente tenere conto della volontà che il paziente ha espresso: ma il suo ruolo non può essere quello di un mero esecutore. Deve anche potersi confrontare con il fiduciario indicato dal paziente stesso, e nei casi in cui ci sia un contenzioso è meglio prendere decisioni in modo collegiale, per avere una maggiore oggettività di giudizio». Nella medicina, spiega padre Faggioni, si parla di «alleanza terapeutica» tra medico e paziente: è un concetto che resta più che mai valido nelle decisioni sul fine vita. No quindi a ogni forma di accanimento terapeutico, no ad ogni forma di eutanasia; sì invece ad una medicina che si prende cura della persona in qualsiasi condizione di vita. Proprio questo è un altro tema controverso, di cui si è parlato molto durante l’incontro fiorentino: «Alcune teorie nascondo l’idea che alcune vite abbiano meno dignità di altre, che abbiano diritto a meno cure: ma se passa questo concetto, dobbiamo pensare che questo possa essere esteso a tante categorie di persone. La dottrina della Chiesa, quando dice no all’accanimento terapeutico parla di cure proporzionate, parla di efficacia terapeutica, ma non accetta mai che si possa abbandonare una vita perché non la si ritiene meritevole di tutta l’assistenza possibile. Una civiltà si misura anche sulla sua capacità di rispettare la vita di ciascuno». Ecco quindi l’altra domanda, che la vicenda di Eluana Englaro ha rilanciato in maniera drammatica: quali forme di assistenza medica possono essere interrotte? Alimentazione e idratazione possono essere considerate terapie? «Tante domande – conclude padre Faggioni – su cui come cattolici diamo risposte precise, e su cui dobbiamo essere pronti a confrontarci per portare il nostro modo di interpretare la scienza e la vita umana».