Italia

Tragedia di Lampedusa, mons. Montenegro: tristezza e senso di colpa

“Alcuni – racconta l’arcivescovo – rimasti con le braccia alzate come a voler chiedere ancora aiuto”, e quello “di una bambina che sembrava dormisse: il suo viso era sereno come se non avesse vissuto la tragedia che l’ha portata alla morte. Vedendo i volti di quei bimbetti, morti così atrocemente, mi sono chiesto ‘io che cosa sto facendo?’ e credo che questo interrogativo dobbiamo porgercelo tutti”. L’arcivescovo soffre vedendo “che non tutti i cristiani hanno il cuore aperto”, e “se buonismo vuol dire essere accoglienti e guardare a questi volti come a quelli di nostri fratelli, io sono contento di essere buonista. Fin quando le leggi per l’accoglienza non vengono fatte, io cosa devo fare? Devo voltarmi dall’altra parte e comportarmi come se queste persone non esistano?”, si chiede. “Il Vangelo – afferma – c’insegna che se c’è un uomo per terra io lo devo aiutare. Se quello del samaritano è stato solo buonismo, allora significa che Gesù non ha proprio le idee chiare; se invece ce lo ha dato come esempio da seguire, io devo fare come il samaritano”.

“La maggior parte di questi giovani – riflette monsignor Montenegro – quando arrivano, vogliono andare altrove, l’Italia è un ponte e loro chiedono solo di poter passare per potere raggiungere le loro destinazioni finali. Mi chiedo, se nella globalizzazione dove tutto diventa di tutti perché i poveri non lo diventano?”. L’arcivescovo pensa anche alla gente di Lampedusa, “che sta soffrendo non solo perché arrivano i naufraghi, ma perché questi morti hanno segnato per sempre il loro cuore”, e pertanto “ha bisogno di solidarietà”. E con l’intento che “tutta la Chiesa siciliana apra gli occhi e si renda conto che c’è il Signore che bussa e che attende soltanto che gli si apra la porta”, lunedì si terrà a Lampedusa il convegno regionale delle Caritas diocesane per rafforzare la rete di solidarietà.