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Unioni civili: approvato al Senato il riconoscimento delle coppie omosessuali e delle convivenze

Con 173 voti a favore e 71 contrari è stato approvato in Senato, a seguito della mozione di fiducia presentata dal governo, il maxiemendamento che disciplina le unioni civili. Un solo articolo, composto da 69 commi, che sostituisce i 23 del Ddl Cirinnà e introduce un nuovo istituto specifico per le persone dello stesso sesso, ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, e disciplina le convivenze di fatto.

Le unioni civili. Per stipularla, le due persone devono essere maggiorenni e recarsi con due testimoni da un ufficiale di stato civile che provvede alla registrazione. Non la possono contrarre persone già sposate o che hanno già contratto un’unione civile; persone a cui è stata riconosciuta un’infermità mentale o tra loro parenti. Quanto al cognome, «le parti possono stabilire di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome». Al comma 20 si stabilisce che d’ora in poi ovunque figuri la parola «coniuge» «in leggi, regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi», le stesse previsioni si applicheranno anche alle unioni civili, anche se è stato aggiunto «al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile».

Obblighi e vita familiare. «Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato». Il regime patrimoniale, salvo scelta diversa, è la comunione dei beni. Fra gli obblighi reciproci figura quello all’assistenza morale e materiale, nonché alla coabitazione.

Termine dell’unione. La morte di una delle due persone determina lo scioglimento dell’unione, così come lo determina la volontà di scioglimento di una delle due persone manifestata davanti all’ufficiale di stato civile. In questo caso l’unione si scioglie dopo tre mesi dalla dichiarazione.

Reversibilità ed eredità. I commi 19, 20 e 21 contengono una serie di rimandi al codice civile. Fra questi, anche la pensione di reversibilità e il Tfr maturato, che spettano anche al partner dell’unione, e la successione. Per la quale valgono le norme in vigore per il matrimonio: al partner superstite va la «legittima», cioè il 50%, e il restante a eventuali figli.

Adozioni. Sempre al punto 20 si precisa che l’equiparazione a «coniuge» non si applica alla legge sulle adozioni (184 del 1983) il che avrebbe permesso la stepchild adoption. Ma si aggiunge: «Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti» il che consentirà ai giudici minorili di poter intervenire per le adozioni caso per caso, tenendo conto del nuovo istituto giuridico delle unioni civili.

Convivenze. Dal comma 36 vengono regolate le «convivenze di fatto» di due persone maggiorenni sia omo che etero, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Sono estese le norme riferite al matrimonio nel codice civile come quelle relative alla detenzione in carcere, la malattia e il ricovero di una delle due parti, il ricongiungimento familiare se una delle due persone è straniera, il congedo matrimoniale, gli assegni familiari, i trattamenti assicurativi. Le persone che formulano un patto di convivenza possono designarsi a vicenda per prendere decisioni in caso di malattia o in caso di morte.

Rapporti patrimoniali. Possono essere regolati con la sottoscrizione di un contratto di convivenza da registrare all’anagrafe del Comune e che si risolve per accordo delle parti; recesso unilaterale; matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona; morte di uno dei contraenti. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice può riconoscere a uno dei due conviventi, che si trova in stato di bisogno, il diritto agli alimenti per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza.

In caso di morte. Nel caso di morte di uno dei due conviventi che ha anche la proprietà della casa comune, il partner superstite ha il diritto di stare nell’abitazione per altri due anni, o per il periodo della convivenza se superiore a due anni, comunque non oltre i cinque anni. Se nella casa di convivenza comune vivono i figli della coppia o i figli di uno dei due, il convivente che sopravvive alla morte dell’altro può rimanere nella casa comune per almeno tre anni. E inoltre in caso di morte il partner superstite ha il diritto di succedere all’altro coniuge nel contratto d’affitto. La convivenza non dà diritto alla pensione di reversibilità.