Lettere in redazione

Fecondazione eterologa e «rinvio» della Legge 40

Gentile direttore, non possono essere sottili formalismi giuridici a giustificare la filosofia da reviviscente relativismo etico che si annida a mio avviso nella decisione del Tribunale Civile di Firenze di rinviare alla Corte Costituzionale la legge in materia di fecondazione medicalmente assistita, nella parte in cui, vietando il ricorso alla fecondazione eterologa, lederebbe il diritto alla procreazione di coppie affette da problemi di sterilità.

Premesso che sul piano etico ritengo il desiderio di un figlio sempre legittimo, non mi sembra però riconducibile ad un diritto assoluto, tale da legittimare forme di procreazione contro natura che verrebbero a sancire un’inqualificabile dicotomia tra «paternità chimica» e «paternità anagrafica».

Un figlio ha diritto ad un padre e una madre per vie naturali, non può avere pseudo genitorialità coatte derivanti da un seme estraneo alla coppia, che snaturerebbero il senso della famiglia, e per questo motivo condivido lo spirito della Legge 40, considerando che anche un ordinamento laico non possa benedire stravolgimenti del diritto naturale. L’egoismo di chi aspira alla pretesa di avere un figlio anche stravolgendo l’ordine della natura non può assurgere a diritto.

Trovo contraddizioni nel comportamento di chi vuol difendere il responso di un referendum che legittima la soppressione della vita quasi fosse un intoccabile plebiscito e saluta invece come indice di libertà il tentativo di stravolgere per via giudiziaria l’impianto di una legge parimenti confermata da una prova referendaria ben più recente.

Personalmente so che a Firenze non c’è soltanto questa giurisprudenza, ma anche insigni giuristi cittadini dotati di equilibrio che siedono alla Corte Costituzionale e mi auguro concorrano a rigettare l’istanza come manifestamente infondata.

Daniele BagnaiFirenze

Non c’è dubbio, caro Bagnai, che le tecniche di fecondazione artificiale non costituiscono, come dicono gli esperti, «una terapia del coniuge, in quanto non viene attuata nessuna modificazione migliorativa della sua sterilità». Inoltre, sotto il profilo etico «la fecondazione eterologa, che prevede il ricorso a terzi estranei alla coppia per la donazione di spermatozoi o ovociti, va direttamente contro l’unità della coppia nella sua complessità spirituale e fisica».

Il rispetto dell’unità del matrimonio esige che il figlio sia concepito nel matrimonio. Nel caso specifico della fecondazione eterologa, essere genitori non equivarrebbe più all’essere coniugi. Già a suo tempo la Congregazione per la dottrina della fede affermò che «il ricorso ai gameti di una terza persona, per avere a disposizione lo sperma o l’ovulo, costituisce una violazione dell’impegno reciproco degli sposi e una mancanza grave nei confronti di quella proprietà essenziale del matrimonio, che è la sua unità».

Giustamente, caro Bagnai, lei sottolinea anche il problema dell’identità del concepito. Infatti, nel caso della fecondazione eterologa, il nascituro ha un’identità biologica che non coincide con quella sociale. In questo senso, citando ancora la Congregazione per la dottrina della fede, «la fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio, lo priva della relazione filiale con le sue origini parentali e può ostacolare la maturazione della sua identità personale». Per non parlare di una possibile apertura a scelte eugenetiche, ovvero alla possibilità di ricercare il seme di un donatore con determinate caratteristiche fisiche o intellettuali.

Sono queste, in estrema sintesi, le ragioni (accolte dalla Legge 40) che portano a considerare moralmente negativa la fecondazione artificiale eterologa e non certo per motivi preconcetti o cultrali, bensì per ragione e legge naturale. Condivido pertanto la speranza (vorrei dire la certezza) che la Corte costituzionale saprà valutare con saggezza il «rinvio», grazie anche alla presenza di quegli insigni giuristi a cui fa riferimento.

Andrea Fagioli