Lettere in redazione

I vescovi lefebvriani e il Concilio

Caro Direttore,la notizia della revoca della scomunica per i vescovi lefebvriani, uno dei quali arriva a negare l’olocausto, lascia molto perplessi. Come già per la reintroduzione della Messa in latino secondo il messale di Pio V, anche qui si è trattato di un atto personale di Benedetto XVI, il che fa pensare che egli sia stato in gran parte solo in questa scelta all’interno della Chiesa. Questi atti inoltre non hanno convinto i seguagi di Lefebvre a rinunciare alle loro posizioni anticonciliari, ed il fatto che l’annuncio della revoca della scomunica sia stato fatto alla vigilia dei 50 anni dell’annuncio dello stesso Concilio, non pare una casualità. Mi sembra quindi sia in atto un vero e proprio tentativo di restaurazione tradizionalista all’interno della Chiesa che senza annullare di fatto il Concilio Vaticano secondo, ne svuota gli elementi fondamentali che sono l’apertura al mondo, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e la collegialità episcopale. Non per caso sono quelli rifiutati dalla comunità di Lefebvre e bollati come modernismo. Alessandro SalvatiViareggio (Lu) Caro Direttore,in relazione alla revoca della scomunica per 4 vescovi «lefebvriani» parte della stampa ha sottolineato soprattutto l’indignazione del mondo ebraico per le dichiarazioni negazioniste di uno di loro riguardo alla Shoah.

Vorrei testimoniare da parte mia lo sconcerto di chi è cresciuto ed ha maturato la propria fede e appartenenza alla Chiesa cattolica, talvolta sofferta, nel periodo successivo al Vaticano II. A costoro questa deliberazione appare come una evidente sconfessione delle decisioni assunte da Paolo VI (che nel 1975 revocò l’autorizzazione vescovile alla Fraternità San Pio X e che nel 1976 sospese a divinis mons. Lefebvre) e da Giovanni Paolo II che nel 1988 scomunicò lo stesso prelato.

Viene il dubbio inquietante ed amarissimo che la ribellione nella Chiesa e l’aperta disobbedienza al Papa alla lunga paghino soltanto quando vengono messe in atto in nome della difesa della tradizione.

>Stefano DommiScandicci (Firenze Caro Direttore, il disorientamento causato nei credenti dal gesto di Benedetto XVI nei riguardi della comunità dei lefebvriani può essere occasione di crescita di fede non appena viene in luce quanto è scritto in Matteo 23-10 : «non chiamate nessuno padre sulla terra….e non fatevi chiamare maestri perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo» . Questo è il caso nel quale i fedeli vengono trattati come non avessero altri diritti che quelli di obbedire e di lasciarsi governare. Se un Concilio ecumenico può venir minimizzato autoritativamente, specie nella sua versione pastorale («Lumen gentium»), allora ne va più della patologia identitaria che altro. Ragione di più perché il laico si convinca della titolarità profetica (affermata anche da Tommaso  d’Aquino, S. Theol. Suppl.a. 19) spesso svuotata da una gerarchia ripiegata su se stessa. Mauro La SpisaFirenze Caro Direttore,condivido la protesta degli ebrei contro il vescovo scismatico e negazionista dell’Olocausto e la forte presa di posizione di Benedetto XVI. Ma trovo sorprendente che certi esponenti del mondo ebraico si rivestano sempre di vittimismo e pretendano suggerire al Papa con chi dovrebbe dialogare o meno. Il dialogo è sempre positivo e non significa avallare gli errori degli interlocutori.Attualmente molti non condividono le esagerate rappresaglie degli israeliani a Gaza, con l’uccisione di migliaia di civili innocenti, ma a nessuno è venuto in mente di interrompere il dialogo con Israele. Kenny Fabbriindirizzo email

In riferimento ad un articolo di Vito Mancuso («Il Papa che preferisce dimenticare la Shoah», «Repubblica») rilevo un atteggiamento fortemente pregiudiziale e con impostazione puramente ideologica delle affermazioni ivi contenute. Faccio notare che il Papa in molte circostanze ed anche negli ultimi giorni ha ribadito che «la Shoah è per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti». Il Papa, rimettendo la scomunica ai lefevriani, ha ribadito che la comunione con la Chiesa è connessa alla fedeltà ed al riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II.

Queste dichiarazioni sono molto chiare ed esplicite e solo chi fa processi alle intenzioni può vedere presunti ridimensionamenti del Concilio Vaticano II in contrapposizione alla tradizione che pure è un valore.

Giuseppe SpennatiFirenze Caro Direttore,mi riferisco alla polemica suscitata dalla decisione di Benedetto XVI di togliere la scomunica ai 4 vescovi lefebvriani. Com’è stato più volte ribadito i suddetti vescovi rimangono sospesi a divinis e non è stata ristabilita la piena comunione di essi con la Chiesa. Questo dipenderà dalla loro volontà di accettare i principi del Concilio Vaticano II. Il Papa stesso ha sconfessato il «vescovo» negazionista Williamson, ricordando per l’ennesima volta la tragedia della Shoah nella sua interezza.

Rimane la delusione che, proprio coloro che sollecitano il dialogo interreligioso, pretenderebbero che il Papa lo negasse ai seguaci di Lefebvre.

Fernando Cabildonindirizzo email Caro Direttore,qualcuno si sarà chiesto perché Benedetto XVI abbia revocato la scomunica ai quattro Vescovi tradizionalisti ordinati da mons. Lefebvre. Una risposta potrebbe essere: per liberare risorse spirituali e intellettuali da opporre agli errori dottrinali e liturgici postconciliari. Già Paolo VI nel 1972, appena ebbe sentore che la componente modernista stava deviando dallo spirito originario del Concilio Vaticano II, se ne usci fuori con l’espressione: «attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa». Anche Giovanni Paolo II per condannare le devianze dal magistero della fede di non pochi uomini di Chiesa, nel documento Ecclesia in Europa usò l’espressione «apostasie silenziose». Il papa polacco non si limitò alle sole parole, ma scomunicò, per fare un esempio, i propugnatori della cosiddetta Teologia della Liberazione. Se Ratzinger dovesse seguire le orme del suo predecessore, di carne (in odor di eresia) da mettere al fuoco, ne troverebbe a iosa. Per ora, il reintegro dei tradizionalisti, ha il sapore di un preavviso di sfratto alle componenti progressiste che, non è un mistero, all’ombra di San Pietro gli stanno remando occultamente contro. Gianni ToffaliVerona

Queste lettere, tra le tante arrivate, ben evidenziano che anche tra i nostri lettori la revoca della scomunica ai quattro vescovi, ordinati da mons. Lefebvre, ha suscitato perplessità. È opportuno quindi chiarire e precisare proprio perché sia dissipato ogni possibile equivoco e farlo con le parole stesse, chiare e inequivocabili, che, a chiarimento per tutti, Benedetto XVI ha detto in Piazza S. Pietro alla fine della catechesi di mercoledì 28 gennaio: «Nell’omelia pronunciata in occasione della solenne inaugurazione del mio pontificato dicevo che è esplicito compito del Pastore la chiamata all’unità e commentando le parole evangeliche relative alla pesca miracolosa ho detto che, sebbene fossero così tanti i pesci, la rete non si strappò e proseguivo: ahimé, amato Signore, la rete ora sì è strappata. Ma non dobbiamo essere tristi e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l’unità. Proprio in adempimento di questo servizio all’unità ho deciso giorni fa di concedere la remissione della scomunica ai quattro vescovi ordinati nel 1988 da mons. Lefebvre senza mandato pontificio. Auspico che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero, della autorità del Papa e del Concilio Vaticano II». Con questo esplicito riferimento al Concilio il Papa dice ai lefebvriani che il Concilio è e resta pietra miliare nella storia della Chiesa, vincolante per tutti e che non può essere minimizzato in nessuna sua parte.

Su questo momento, indubbiamente delicato, sono, per così dire, piovute le inquantificabili dichiarazione di uno dei quattro vescovi, l’inglese mons. Richard Williamson, riguardo alla Shoah e ai rapporti con il popolo ebraico. Il Vescovo si è subito addolorato per queste dichiarazioni, rendendosi ben conto dell’imbarazzo in cui si è trovata la Santa Sede. Ma – si è fatta notare con un pizzico di malizia in ambienti vaticani – Williamson, passato dall’anglicanesimo al movimento lefevriano, poco o nulla ha assimilato del sentire autenticamente cattolico. Il Papa comunque anche su questo argomento era stato di una chiarezza estrema. «Mentre rinnovo con affetto l’espressione della mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri fratelli, destinatari della Prima Alleanza, auspico che la memoria della Shoah sia per tutti monito contro l’oblio, la negazione o il riduzionismo».

Certo con i lefebvriani è questo un momento di passaggio, che conosce difficoltà anche serie e che va gestito con coraggio e determinazione. Ma in ogni passaggio si gettano semi che, ce lo auguriamo tutti, possono dare, a suo tempo frutti buoni.

Alberto Migone