Lettere in redazione

La nazionale di Prandelli e la coesione nazionale

Dopo l’acquasanta anche il pellegrinaggio

E ora dopo che la Spagna ha affossato l’Italia per 4 a 0, la Nazionale con l’Allenatore in testa, deve fare un pellegrinaggio di penitenza. Pellegrinaggio, parola che viene dal latino «per+ager» -cammino «per i campi», ovviamente non quelli da gioco, e a pane e acqua, anche se strapieni di soldi. Chissà nella speranza o nel sogno di essere i primi della classe in Europa, si sono inventati anche il pellegrinaggio del dopo partita, quando tutto andava bene o benino. Forse per avere qualche protezione in più? C’era già stato in passato, qualche anno fa, un allenatore che si portava dietro l’acquasanta e la versava dentro la porta del campo da gioco, per scacciare il diabolico pallone, che inesorabilmente entrò lo stesso e l’Italia fu eliminata. Quest’altri hanno preferito andare in pellegrinaggio ai santuari, come voto o forse per sgranchirsi, ma è stato inutile. L’ultimo pellegrinaggio è stato quello alla Divina Misericordia. Chissà, forse per farsi perdonare in anticipo, prima della sconfitta finale.

Gli spagnoli sembra che abbiano «camminato» molto, ma nel campo da gioco, e si è visto. Se invece di scomodare i santi o i santuari per cose secondarie, e si fossero fatte meno chiacchiere in TV e su tutti i media. come campioni prima del tempo e si fosse giocato non «alle belle statuine» vagando a vuoto per il campo, avremmo visto uno spettacolo migliore da parte dei nostri. Quindi è bene che ora facciano un pellegrinaggio di penitenza. Ma, guarda caso, li hanno considerati eroi.

C’è chi si immaginava una vittoria che avrebbe risollevato l’Italia da tutti i mali, e tutti i giorni facevano previsioni alla grande, fino al punto che perfino il governo attuale stava diventando quasi simpatico, e si è messo insieme sullo stesso piano la vittoria politica di Monti sulla Merkel e la vittoria della Nazionale sulla Germania. Forse senza fare i conti con la Spagna. E mentre gli Azzurri erano sul cammino del trionfo, prima di incontrare le furie rosse spagnole, gli italiani dimenticavano, per incanto, lo scandalo del calcio-scommesse, delle partite truccate, gli stipendi milionari dei calciatori. I giorni precedenti la botta della Spagna, in cui si pregustava la vittoria, quasi nessuno parlava della crisi economica: la Nazionale è la Nazionale! Quando gli antichi romani volevano far stare tranquilla la gente, offrivano da mangiare e i giochi da circo, «panem et circenses». Così nessuno rompeva le scatole al potere.

Forse da noi non è successa la stessa cosa, ma quel bombardamento quotidiano dei media per far entrare nelle case e nei cervelli la Nazionale, con i suoi campioni, non mi è piaciuto. Non l’ho trovato neppure educativo. Eppure il calcio mi è sempre piaciuto. Ma ci sono anche cose più importanti.

Comunque, che delusione! quel 4 a 0 ha ridotto gli azzurri a brandelli, ha fatto svanire un sogno e siamo ritornati alla crisi.

Franco CerriLucca Se il «popolo bue» chiude un occhioLa gente comune si duole perché i calciatori italiani vengono strapagati. Contemporaneamente però, appena la nazionale segna un goal, la collera si dissolve e divampa l’eccitazione. Qualsiasi psicologo definirebbe tale comportamento: ridicolo, contradditorio ed irrazionale. Che sia perché il calcio possiede la capacità di alleviare frustrazioni, insoddisfazioni, rabbie, delusioni, scontentezze ed amarezze che, nonostante l’evidente immoralità e intrallazzi del mondo del pallone, il popolino bue è disposto a chiudere un occhio ed a tributare onori ad una casta di viziati miliardari affamati di ricchezza e notorietà? Gianni ToffaliVerona Il nostro è un Paese «a Brandelli» A Dio piacendo è finita anche l’avventura calcistica europea e, per l’Italia, penso sia andata proprio nel migliore dei modi. Si era in queste settimane assistito ad una paradossale trasposizione dei problemi sociali, economici e morali del paese in quelli del gioco del calcio come se la crisi italiana potesse essere dimenticata, riscattata, risolta o quantomeno esorcizzata a suon di pallonate dirette nella rete degli avversari di turno specie in quella di paesi con alto differenziale di valuta.

L’onore, il valore, la forza e la coesione civile del nostro bel paese mediterraneo (e suo malgrado europeo) a forma di stivale e dalla bandiera tricolore erano  tutti riposti e concentrati nelle gambe di 11 eroi  e di un gran Capitano che con indicibili sacrifici e rinunzie si trovavano a rappresentarci e combattere per la nostra gloria in terreno straniero contro forze nemiche per dimostrare al mondo come in fondo la corruzione e il degrado politico-economico-morale dilaganti da decenni fossero particolari secondari e trascurabili al confronto di cotante imprese volte a raggiungere la «Vittoria Finale».

Dopo le prime vittorie per loro si sono subito intonati peana e usate parole trionfanti nelle prime pagine di tutti i giornali con titoli trionfalistici di vago sapore politico-sportivo. L’argomento prioritario non era più la crisi nei circoli nei bar, nelle case, nelle strade e nei mezzi di comunicazione e persino le massime autorità dello stato, dal presidente del Consiglio al Presidente della Repubblica, si prodigavano in elogi, riconoscimenti e  in «viaggi della Speranza». Come se non ci fossero piuttosto da ringraziare e ricompensare quei piccoli e poveri italiani che con il loro onesto, silenzioso lavoro di tutti i giorni, i loro sacrifici e la loro tenuta morale hanno contrastato sino ad oggi il definitivo collasso della nostra economia sotto il peso schiacciante di tanti grandi ladrocini perpetrati da decenni dalle classi politiche dirigenti.

Fortuna o Provvidenza ha voluto che alla fine questo grande «Pallone gonfiato» si sia improvvisamente sgonfiato sotto il peso di 4 autentiche e sonore cannonate spagnole riportando un po’ tutti con i «piedi per terra» e ridimensionando il «nuovo miracolo italiano»: altro che Italia di Prandelli la nostra è e resta una «Italia a Brandelli» !

Renzo RidiFirenze Non sono loro lo «specchio» dell’ItaliaIl Presidente della Repubblica ha accolto con tutti gli onori la squadra di calcio di rientro da Kiev. In un passaggio del suo intervento, Napolitano ha detto anche ai giocatori: «Voi siete lo specchio dell’Italia, siamo fieri e orgogliosi, ecc., ecc.». Bene, dalla mia modesta posizione di uno dei sessanta milioni di italiani, mi dissocio da tale posizione, con tutto il rispetto per il nostro Presidente della Repubblica. I giocatori di calcio, non ultimi quelli della Nazionale, non possono rappresentare gli italiani. Non mi sento rappresentato da chi scommette centinaia di migliaia di euro in una tabaccheria.

Non condivido assolutamente la posizione di chi ridacchia parlando «dei froci in squadra». Considero un affronto a tutti i giovani precari, ai disoccupati, ai cassintegrati, i soldi che girano intorno al calcio, tutti i loro gesti da gladiatori del terzo millennio. Ebbene, Signor Presidente, pensiamo prima ai sessantadue morti sul lavoro nei primi sei mesi dell’anno in corso, dopodiché possiamo anche prendere come esempio i lavoratori del calcio.

Antonio Di FuriaPrato

I nostri lettori, pur con accenti diversi, sembrano essere tutti d’accordo: la nazionale di calcio è stata presuntuosa e giustamente punita dagli spagnoli. Meglio così – scrivono – perché almeno si è posto fine al diluvio di retorica pallonara, che per qualche giorno ha cancellato da giornali e televisioni, non solo tutte le magagne del nostro calcio (e lo dimostrano le «miti» sentenze per scommessopoli), ma anche i problemi reali del Paese, a partire dalla crisi economica che riduce i redditi delle famiglie e sta lasciando tante persone, soprattutto giovani, senza lavoro. Tutto vero, tutto condivisibile. Anch’io ho trovato eccessivi i toni e certi interventi, anche da parte delle istituzioni. E soprattutto l’enfasi senza costrutto delle telecronache Rai con annessi e connessi. Ma non eccediamo neanche con la retorica di segno opposto. Il nostro è un Paese in cui uno dei principali partiti politici, che ha avuto anche responsabilità di governo, sputava sulla bandiera, sull’Italia e su «Roma ladrona». Il sentimento di coesione nazionale è da sempre molto basso e anche le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia non sembrano aver coinvolto la gente comune. Come elemento di coesione lo sport può fare molto. E guardo con fiducia ai prossimi giochi olimpici di Londra, dove – peraltro – la gran parte degli interpreti è ben lontana dai fasti dorati dei campioni di calcio.

Claudio Turrini