Lettere in redazione

La pace si fa con la pace

Caro direttore, per me è difficile intervenire con poche battute nel dibattito che ha aperto su «Toscana Oggi» (Guerra e scelta militare: il dibattito è aperto). Vorrei però portare all’attenzione comune quanto la grande novità rappresentata dalla sospensione (ma, di fatto, abolizione) dell’obbligo militare possa influire su questa riflessione. Mi limiterò a segnalare che molti «cappellani militari santi» erano in realtà giovani preti (o seminaristi) soggetti all’obbligo della leva. La prima istituzione dell’Ordinariato militare nacque proprio dal bisogno di risolvere il problema dei religiosi obbligati, durante la «grande guerra» ad imbracciare le armi.

La presenza dei cappellani venne poi mantenuta, tra alterne vicende, perché la Chiesa sentiva il bisogno di assicurare l’assistenza spirituale anche in tempo di pace. I soldati erano infatti impossibilitati a frequentare le normali pratiche religiose e vivevano situazioni che necessitavano una specifica cura pastorale. Finita la leva obbligatoria, cosa resta di questa originaria tensione spirituale? Non si è più costretti ad imbracciare le armi, né obbligati a vivere in caserma. I militari sono professionisti simili agli altri lavoratori della sicurezza: certamente gente molto stimabile perché disposta a mettere in conto un sacrificio personale maggiore di altri.

Ma non vedo la necessità di mantenere un servizio pubblico di assistenza spirituale di cui non c’è più bisogno. I cappellani militari renderebbero una testimonianza più evangelica se togliessero le stellette e seguissero i soldati in missione testimoniando di essere sempre dalla parte delle vittime (che non sempre sono i soldati). A mio modesto avviso la retorica della «guerra per la pace» non ha ancora focalizzato l’inutilità ed irrazionalità della guerra, messe invece in luce dal Magistero della Chiesa. Per i cristiani la guerra è sempre inutile. È uno strumento inadatto a risolvere i conflitti. Un’avventura senza ritorno.

Caro direttore, ogni vittima della guerra ci spinge ad un impegno maggiore per cercare di cambiare la nostra mentalità pigra, che continua a considerare la guerra un mezzo estremo, cattivo ma necessario e persino utile. Finiamo così per chiamare operatore di pace un cybersoldato moderno, che sorride nella sua armatura tecnologica dall’alto di un carroarmato. Dimentichiamo così che la pace si fa con la pace e non con la guerra. Certo, quando l’incendio scoppia si chiamano i pompieri: ma abbiamo osservato tutte le precauzioni per impedire che nasca?

Infine, come cristiano non posso non osservare la contraddizione tra un Magistero chiaramente contrario alla guerra ed una prassi debole ed accondiscendente, che ha persino portato a costituire l’Accademia per cappellani militari. Un seminario dove la vocazione militare cresce in uno con quella sacerdotale. Posso capire i «preti soldato», ma ai «soldati preti» toglierei la tonaca e lascerei le stellette.

Pierluigi ConsortiPisa

Ringrazio il prof. Consorti, docente all’Università di Pisa e direttore del Centro interdisciplinare «Scienze per la pace», per il suo prezioso contributo al dibattito aperto nel penultimo numero su «Guerra e scelta militare». Segnalo che nei giorni scorsi si è svolto ad Assisi il convegno annuale dei cappellani militari incentrato su «Annuncio del Vangelo e testimonianza della carità». Nell’occasione l’ordinario militare, mons. Vincenzo Pelvi, ha affrontato gli aspetti problematici della questione ammettendo che «ci sono due modi di utilizzo delle forze armate». «Ma non c’è contraddizione – a suo giudizio – tra il dovere di ostacolare l’aggressore e il precetto dell’amore del nemico chiaramente espresso dal Vangelo». «Se c’è una peculiarità da sviluppare nella spiritualità dei militari questa – ha concluso Pelvi – è l’educazione alla pace come forma specifica della carità». Il dibattito resta aperto.

Andrea Fagioli