Lettere in redazione

Scuola e bullismo, chiediamoci perché

Fa notizia la maestra che morde il bambino, e subito va a fare il paio con l’altra che taglia la lingua dell’alunno con le forbici. Sono i segnali di una scuola da tempo sotto pressione che genera episodi di apparente follia. Iniziative come la recente settimana de «La scuola siamo noi», che pure rispecchia la sostanziale validità della scuola italiana, di fronte a questi fatti si riducono a poco più di un’operazione d’immagine. È riduttivo parlare di «mele marce»: dobbiamo interrogarci sulle cause.

La scuola vera è fatta di classi di 28 alunni, che nelle superiori vanno anche abbondantemente oltre la trentina, e di classi invece di appena 14 allievi, e a volte anche meno. È fatta di finanziamenti sempre più ridotti per la nomina dei supplenti, e di un carosello di docenti «tappabuchi», a discapito degli interventi di approfondimento e di consolidamento che si possono effettuare grazie alle ore di compresenza. La scure della riduzione degli organici e quella dei tagli ai finanziamenti si sono abbattute in modo indiscriminato su chi era già in difficoltà e su chi in fondo se la cavava. C’è da meravigliarsi se episodicamente qualcuno dà i numeri?

C’è necessità di nuove risorse per la scuola, e del coraggio di distribuirle equamente. Gli insegnanti hanno bisogno e diritto di essere supportati nelle situazioni difficili, che purtroppo sono sempre più frequenti. C’è bisogno di una formazione psico-pedagogica generalizzata e c’è bisogno di valutazione, una valutazione seria che premi i migliori e indichi altri sbocchi professionali a chi dietro una cattedra non ci può più stare.

Insegnanti esauriti, dicevano un tempo: adesso si parla di burn-out  e i convegni e le pubblicazioni specialistiche in materia si moltiplicano. Cosa aspettiamo a prenderne atto?

E, sull’altro versante, occorre una formazione capillare e mirata dei genitori, per sottrarre le giovani generazioni ai modelli di violenza e di disumanizzazione che la società ognora propone, e ancorarle, finché si è in tempo, a valori un po’ vecchiotti ma tanto necessari come il rispetto delle regole, la solidarietà, il rispetto dell’altro.

Il dibattito aperto sugli organi collegiali, la proposta di stesura nelle scuole di «patti di corresponsabilità fra scuola e genitori», gli osservatori regionali sul bullismo sono tutte occasioni per rilanciare l’idea di una comunità educativa, in cui tutti concorrono all’educazione dei giovani, collaborando e cooperando insieme, superando l’eventuale sospetto verso la diversità dei ruoli.

È giunto il momento di investire con forza (anche economicamente) nella formazione di genitori e insegnanti. L’associazionismo, quale risorsa di cittadinanza e di responsabilità già presente nella scuola, può dare una mano.

Age – Associazione italiana genitori

Sulle cause della crisi dell’istituzione scolastica ha già scritto molto bene il prof. Savagnone sul numero scorso del settimanale (Una scuola in crisi d’identità tra bullismo e mezze riforme). Mi limito perciò ad una piccola aggiunta. I responsabili del declino della scuola sono tanti. A partire, ovviamente, dai ministri che se ne sono occupati. Ciascuno pronto a cancellare le decisioni del precedente e a voler lasciare la sua brava «riformina». Ma poiché voi siete genitori – categoria della quale, sia ben inteso, faccio parte anch’io – devo ammettere con sincerità che anche noi genitori abbiamo le nostre colpe. Quasi sempre accecati esclusivamente dall’interesse per i nostri figli, siamo i primi a vedere nei docenti non degli alleati nell’opera educativa, ma una «controparte» da mettere in riga. Una volta quando un ragazzo tornava a casa con una nota disciplinare sul diario, prima rimediava un ceffone e poi, forse, poteva timidamente esporre la sua versione dei fatti, ben sapendo però che nessuno gli avrebbe dato ragione. Oggi se un insegnante si prova a sequestrare un cellulare ad uno studente che magari lo sta usando per farsi dettare la traduzione del compito di latino, rischia il linciaggio da parte dei genitori. Un po’ come è successo a quell’insegnate siciliana, con trent’anni di insegnamento sulle spalle, che di fonte ad un grave episodio di bullismo, di un 12enne «molto vivace» (classico eufemismo scolastico), gli ha fatto scrivere per cento volte sul quaderno «sono un deficiente». I genitori l’hanno denunciata e il pm ha chiesto per lei due mesi di carcere per «abuso di mezzi di correzione». Per inciso il ragazzino aveva scritto sempre «deficente», senza la «i».

Claudio Turrini