Mondo

Aleppo, mons. Jeanbart: «Mentre i potenti si giocano le vesti della Siria, il popolo muore»

La battaglia per la città sulla Via della seta va avanti dal luglio del 2012. La sensazione diffusa tra la popolazione sotto assedio e che si vada allo scontro finale, come testimonia da Aleppo, l'arcivescovo greco-cattolico, monsignor Jean-Clément Jeanbart che parla di una città ormai allo stremo.

«Non dimenticateci. Non dimenticate Aleppo». Monsignor Jean-Clément Jeanbart lo ripete senza sosta al telefono dalla città martire della Siria, dal 2012 al centro di violenti combattimenti tra le forze fedeli al presidente Assad, sostenute dalla Russia con milizie iraniane, libanesi e irachene e i ribelli. Questi ultimi, proprio in questi giorni, hanno rotto l’assedio lealista alla parte est della città che è nelle loro mani e dove vivono oltre 250.000 civili giunti allo stremo. Epicentro degli scontri la base militare che ospitava l’Accademia di artiglieria nel quartiere sud-occidentale di Ramousah. Notizia smentita da Damasco che per tutta risposta continua a colpire, grazie all’aviazione russa, le aree controllate dai ribelli. Si parla di bombardamenti con bombe a grappolo e con ordigni contenenti cloro e gas tossici. «Se vero, è stato commesso un crimine di guerra» afferma l’Onu che ha avviato un’indagine.

«Ma è tutta Aleppo oggi a soffrire per la mancanza di acqua corrente e di elettricità – dice monsignor Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-cattolico della città – le battaglie si susseguono in ogni momento, udiamo scoppi di bombe anche nei quartieri residenziali, vediamo colonne di fumo alzarsi. Tanti i morti e i feriti. Difficile dire come andrà a finire. Siamo nelle mani di Dio. Si parla di una tregua umanitaria. Se c’è, nessuno se ne accorge.

Le tre ore di cui si parla, concesse dai Russi, non bastano» dice l’arcivescovo che poi annota, «ma sono sufficienti a impedire ai ribelli di riorganizzarsi sul terreno e di riarmarsi. Il rischio, infatti, è che con gli aiuti vengano portati anche armamenti».

Secondo l’inviato dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, «la Russia sarebbe disposta a discutere un allungamento della ‘pausa umanitaria’ di tre ore proposta nella zona di Aleppo per permettere la consegna degli aiuti umanitari alla città assediata». L’obiettivo delle Nazioni Unite sarebbe quello di una tregua di almeno 48 ore, un tempo utile per fare arrivare convogli umanitari nella zona assediata.

L’impegno della Chiesa. L’emergenza è continua nella città dove la carenza di medicinali è drammatica come confermato in una lettera a Barack Obama scritta da alcuni medici rimasti a operare nei sotterranei degli ospedali. «Non ci servono lacrime o simpatia o preghiere – si legge nella lettera – ma abbiamo disperatamente bisogno di una no-fly zone su questa parte della città». La Chiesa locale cerca di fare il possibile per alleviare la sofferenza degli abitanti rimasti. «Con i pochi mezzi che abbiamo portiamo l’acqua in cisterne per distribuirla nelle case e alle famiglie che non hanno un tetto sicuro. Gli sforzi sono rivolti anche alla distribuzione di cibo. Per continuare questa opera abbiamo bisogno di aiuto per questo chiedo alle Chiese nel mondo di aiutarci. Vi saremo molto riconoscenti». In prima linea negli aiuti anche la parrocchia di padre Ibrahim Alsabagh che sta dirigendo i suoi sforzi per sopperire alla mancanza di generi alimentari e di acqua.

Mons. Jeanbart non si aspetta molto dalla diplomazia, e parla di «fallimento delle Nazioni Unite. Nessuna ipotesi di accordo. Nessuno vuole lasciare Aleppo. Ci sono potenze regionali, come la Turchia, che non accettano soluzioni negoziali. Il Paese della Mezzaluna ancora considera Aleppo come una città dell’impero ottomano. Sono passati duecento anni e non è più così».

Una timida speranza potrebbe arrivare dal riavvicinamento tra Russia e Turchia che pure sul dossier «Siria» si trovano su fronti contrapposti. A riguardo, dice con un certo disincanto l’arcivescovo greco cattolico, «Erdogan aspetta una vittoria sul terreno prima di collaborare con Putin. E accade così che mentre i potenti si giocano le vesti, quelle rimaste, della Siria a soffrire è tutto il popolo. Fame, sete, malattie, guerra è il pedaggio duro da pagare».

La pensa così anche monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico dei Latini di Aleppo: «spero che la diplomazia prevalga con il riavvicinamento tra Erdogan e Putin, perché se la Turchia chiudesse le frontiere gran parte del problema sarebbe risolto. I jihadisti non avrebbero più rifornimenti di armi». Tuttavia la sensazione imperante, condivisa anche dagli aleppini, è che si vada verso lo scontro finale. «E a pagare saranno ancora una volta i civili» chiosa amaramente mons. Jeanbart.

A credere nella pace è rimasto solo Papa Francesco. «I suoi continui appelli ci commuovono» dichiara l’arcivescovo che ricorda le parole del Pontefice all’Angelus del 7 agosto e la sua denuncia: «è inaccettabile che tante persone inermi – anche tanti bambini – debbano pagare il prezzo del conflitto, il prezzo della chiusura di cuore e della mancanza della volontà di pace dei potenti. Siamo vicini con la preghiera e la solidarietà ai fratelli e alle sorelle siriani, e li affidiamo alla materna protezione della Vergine Maria». «Il Papa non dimentica la Siria e il suo popolo. Il mondo faccia lo stesso – è l’appello di mons. Jeanbart – non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria. Aiutateci a restare qui per ricostruire il nostro Paese. Questa non è la nostra guerra, non è la guerra dei siriani. Non dimenticateci!».