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Dal 2006 ad oggi mai tante vittime nelle guerre di Gaza

La campagna militare israeliana «Confine protettivo», giunta oggi 31 luglio al suo 25° giorno, ha prodotto un bilancio provvisorio di oltre 1360 morti palestinesi, in larga parte civili, 57 israeliani, circa 200mila sfollati interni e migliaia di feriti. Il bilancio più pesante di sempre. E purtroppo non è ancora finita. La politica non riesce a recuperare il suo necessario spazio di manovra per fermare il massacro.

Le campagne militari israeliane nella Striscia di Gaza non sono certamente una novità, anzi, si ripetono con una certa regolarità dal 2005, da quando cioè Israele attuò il «Piano di disimpegno unilaterale» su proposta dell’allora Primo ministro israeliano, Ariel Sharon, per rimuovere tutti gli abitanti israeliani da Gaza oltreché da quattro insediamenti in Cisgiordania settentrionale. E non sono una novità nemmeno le modalità con cui vengono condotte in rappresaglia agli attacchi di Hamas verso il territorio israeliano: bombardamenti aerei contro obiettivi specifici della fazione islamica, siano essi capi militari, magazzini di armi, basi di lancio dei razzi o tunnel, uso dell’artiglieria pesante e della fanteria, droni. Denominatore comune di tutti i conflitti che si sono susseguiti è la conta dei morti, dell’una e dell’altra parte, moltissimi civili e i bambini e la scia di distruzione e di macerie che si lasciano dietro e che diventano ulteriori ostacoli per tregue durature. Come sta accadendo anche per l’ultima operazione in corso, «Confine protettivo» che, giunta oggi 31 luglio al suo 25° giorno, ha prodotto un bilancio provvisorio di oltre 1360 morti palestinesi, in larga parte civili, 57 israeliani, circa 200mila sfollati interni e migliaia di feriti. Alla luce delle cifre si impone come la campagna militare più cruenta dal 2006 ad oggi.

Le guerre di Gaza. La prima operazione militare israeliana prende il via il 28 giugno 2006, denominata «Pioggia d’estate», tre giorni dopo il rapimento del giovane soldato Ghilad Shalit, liberato nel 2011 con uno scambio di prigionieri. Circa 60 alti responsabili di Hamas vengono arrestati. Bisogna attendere quattro mesi per assistere alla campagna «Nuvole d’autunno» (1-7 novembre 2006) concentrata a Beit Hanun (nord di Gaza) nella quale perdono la vita 56 palestinesi, in larga parte miliziani di Hamas. Ma gli attacchi proseguono fino al 26 novembre quando l’esercito pone fine a 5 mesi di operazioni nella Striscia con un bilancio complessivo di oltre 400 palestinesi morti. Dal 27 febbraio al 3 marzo del 2008 Israele lancia una nuova operazione «Inverno caldo» per ritorsione alla morte di un israeliano ucciso da un razzo di Hamas. Il bilancio finale parla di oltre 120 palestinesi morti. Risale al 27 dicembre del 2008 (fino al 18 gennaio 2009) la più grande offensiva israeliana sulla Striscia. Denominata «Piombo fuso», l’operazione aveva l’obiettivo dichiarato di mettere fine al lancio di razzi contro il sud d’Israele. Si concluse con 1400 palestinesi (in maggioranza civili) e 13 israeliani uccisi. Dall’aprile del 2011 al giugno del 2012 si susseguono scambi a fuoco, con lancio di centinaia di proiettili palestinesi dalla Striscia verso il Sud di Israele e conseguenti rappresaglie israeliane che portano alla morte di circa 90 miliziani islamici e di una decina di israeliani. Si arriva così all’operazione «Colonna di Nuvola» (14-21 novembre 2012) che inizia, dopo numerosi razzi e l’uccisione a Gaza del capo delle operazioni militari di Hamas, Ahmad Jaabari. Otto giorni di raid israeliani e centinaia di razzi su Israele che raggiungono Tel Aviv e la regione di Gerusalemme. Termina con un cessate il fuoco mediato dall’Egitto dell’allora presidente islamista (Fratellanza musulmana) Mohammad Morsi: 177 palestinesi e 6 israeliani morti, in maggioranza civili.

La tenacia della guerra. Ma c’è un altro elemento che tende ad unire «Confine protettivo» con le campagne precedenti ed è l’assenza di strategia politica a fianco dell’impegno bellico. «La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai militari» era solito ripetere lo statista e diplomatico francese, Charles Maurice Talleyrand, ed è ciò che sembra stia accadendo in questa fase. La politica non riesce a recuperare il suo necessario spazio di manovra per fermare il massacro le cui immagini sono sotto gli occhi di tutti. A ricompattare larghi strati della società israeliana e la totalità di quella palestinese è proprio la guerra che in tal modo riempie il vuoto lasciato dalla politica e dalla diplomazia internazionale, quest’ultima incapace, almeno fino ad ora, di trovare non solo una soluzione al conflitto ma anche una mediazione per un cessate il fuoco duraturo. E intanto missili e bombe mietono vittime, e non importa se sono bambini colpiti mentre giocano sulla spiaggia, anziani, donne, civili, se ad essere distrutti siano ospedali, scuole o semplici abitazioni. La retorica della guerra la fa sempre più da padrona, da una parte e dall’altra con proclami che accendono gli animi mentre viene meno quella «saggezza e forza necessaria» che solo qualche giorno fa Papa Francesco aveva invocato da Dio per le Autorità affinché affrontino «ogni diatriba con la tenacia del dialogo». Purtroppo a vincere è ancora la tenacia della guerra.