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Donald Trump: cento giorni e mille volti. Tra mosse azzeccate, gaffe e retromarce

Da quando è arrivato alla Casa Bianca il nuovo presidente degli Stati Uniti ha occupato la scena politica mondiale. Cresce il sostegno dei suoi fan mentre si moltiplicano gli avversari. Il muro con il Messico, l'azione in Siria e il braccio di ferro con la Nord Corea ne segnano l'azione esterna, mentre all'interno deve ancora assumere decisioni coerenti con la campagna elettorale. Le voci di tre commentatori americani.

(dagli Stati Uniti) Il presidente Donald Trump ha tagliato il traguardo dei cento giorni alla Casa Bianca. Valutando i suoi primi passi gli ammiratori plaudono alla nomina del giudice conservatore Neil Gorsuch alla Corte Suprema e in politica estera all’offensiva in Siria. I detrattori sottolineano come finora Trump abbia concluso ben poco sul fronte legislativo e segnalano gli indici di approvazione del presidente in caduta libera.

Le mosse azzeccate. Partendo dalle mosse azzeccate di Trump, la più evidente per lui è la nomina di un giudice tanto intelligente quanto conservatore alla Corte Suprema, Hugh Hewitt, conduttore del quotato programma radio di segno conservatore «The Hugh Hewitt show», spiega: «La nomina di Neil Gorsuch è una vittoria che durerà 30, forse 40 anni [tanto potrebbe restare in carica il giudice, ndr]». Hewitt ricorda che ci sono diverse decisioni importanti alle viste per la Corte Suprema, e Gorsuch si manterrà sul solco del suo predecessore conservatore, il compianto Antonin Scalia. La base repubblicana apprezza anche la decisione di abbandonare la Trans-Pacific Partnership, quella di rafforzare i controlli anti immigrazione clandestina e anche la promessa di procedere con l’ormai famoso muro al confine con il Messico, anche se ad oggi non è ancora chiaro come verrà finanziato.

Il muro con il Messico. Qualche mese fa Trump diceva: il muro lo pagherà il Messico. Oggi dice «ci rimborseranno… in qualche forma». E da più parti lo si comincia a ritenere solo uno specchietto per le allodole. «I soldi del muro devono arrivare dal Congresso», spiega Michael Genovese, professore esperto di White House Studies e direttore dell’Istituto per gli studi sulla leadership alla Loyola Marymount University di Los Angeles. «E se per ora il sostegno non manca, un calo di popolarità del presidente potrebbe far mancare i fondi per il progetto».

Genovese del resto non ritiene che il muro possa davvero servire a sigillare il confine meridionale. «I muri si possono saltare, abbattere o ci si può passare sotto costruendo tunnel», dice. «E tra l’altro in molte aree del confine la costruzione non è praticabile. Resterà comunque poroso. La gente seria non ci crede a questa panacea del muro».

Quale controriforma? Nel tabellino delle batoste del presidente, Hewitt, l’opinionista conservatore, inserisce invece l’incapacità di azzerare e sostituire l’Obamacare, la legge che regola il sistema sanitario, marchio di fabbrica della presidenza Obama, aspramente criticata per anni dagli esponenti del Grand Old Party e uno dei bersagli fissi delle invettive di Trump durante la campagna elettorale. «Avendo in mano presidenza, Senato e Camera dei rappresentanti si pensava che i repubblicani fossero in grado di mettere sul tappeto una efficace controriforma», dice Hewitt, «ma è devastante constatare che sono restati con un pugno di mosche in mano».

Immigrazione e dossier Corea. Tra le battute d’arresto va anche ricordato il doppio stop (dichiaratamente in chiave anti-terrorismo) all’arrivo di immigrati da sette Paesi musulmani, in entrambe le occasioni respinto al mittente dai Tribunali. Più in generale il presidente Trump sembra aver proiettato nel mondo un’immagine di improvvisazione. Si pensi al dossier Corea del Nord. Prima il mondo doveva «prepararsi al peggio», poco dopo il presidente ha definito il dittatore nordcoreano uno «smart cookie» (un tipo sveglio), poi si è detto onorato d’incontrarlo, salvo poi smentire tramite i collaboratori. Ma Trump ha a più riprese rivendicato la sua imprevedibilità, sostenendo di non voler dare punti di riferimento agli avversari, specie in politica estera.

Narcisismo congenito. Osservatori conservatori come Hewitt vedono un progresso notevole nella capacità di Trump di circondarsi di persone sempre migliori nel Consiglio per la Sicurezza nazionale, l’organo che più di ogni altro influenza le decisioni presidenziali (si pensi all’inserimento del generale H.R. McMaster e all’allontanamento di Stephen Bannon). Altri analisti non hanno la stessa impressione. Michael Brenner, professore emerito di Relazioni internazionali alla University of Pittsburgh, non ha dubbi: «Molti persistono nella convinzione che Trump evolverà in un presidente ‘normale’. La logica sarebbe che le responsabilità dell’alto ufficio lo renderebbero sobrio. I passi falsi ne mitigherebbero l’impulsività». Brenner conclude:«Beh, nessuno di questi scenari è realistico. Trump soffre di narcisismo congenito. Per questa patologia non v’è cura».

Dagli ai mass media! Su una cosa, però, tutti concordano: Trump ha dichiarato guerra alla stampa. «Sta seguendo la strategia di Richard Nixon», spiega Genovese. «L’idea è delegittimare la stampa di modo che non la si prenda sul serio. D’altronde lo zoccolo duro del suo partito detesta i media generalisti. È un vecchio trucco. Quando la gente è scontenta, dagli ai media. Funziona sempre».