Mondo

Fame: rapporto Fsin, 124 milioni di persone in 51 Paesi vivono in condizione di insicurezza alimentare

Sono 124 milioni di persone che in 51 Paesi vivono in condizione di insicurezza alimentare; di questi, in 18 Paesi, 74 milioni di persone hanno bisogno di assistenza urgente perché c’è la guerra o «scarsità di cibo». Il dato emerge dal rapporto 2018 del Fsin, la Rete di informazione sulla sicurezza alimentare, una piattaforma indipendente co-sponsorizzata da Fao, Programma alimentare mondiale (Pam) e Ifpri (International Food Policy Research Institute) che mira a rafforzare i sistemi di informazione sulla sicurezza alimentare e nutrizionale.

La situazione nel mondo oggi è tanto più grave se confrontata ai numeri pubblicati l’anno scorso: la percentuale segna un aumento dell’11% di persone in qualche modo segnate dalla fame. L’aumento può essere attribuito in larga parte all’emergere o intensificarsi di conflitti o di uno stato di insicurezza in Paesi come lo Yemen, la Nigeria, la Repubblica democratica del Congo, il Sudan meridionale e il Myanmar. Questi sono i Paesi dove nel 2017 si sono verificate le crisi più gravi che hanno coinvolto quasi 32 milioni di persone. Nonostante l’aiuto umanitario, i bisogni rimangono eccezionalmente alti. Quello che non distrugge la guerra, lo fa lo stato di «siccità persistente» che colpisce 23 Paesi nel mondo e affligge oltre 39 milioni di persone. A mietere vittime tra donne e bambini si aggiungono le gravi epidemie di colera.

«Conflitti e insicurezza rimarranno probabilmente le principali cause di crisi alimentari nel 2018» in una lunga serie di Paesi, tra cui Afghanistan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, il nord-est della Nigeria, Siria e Yemen, nonché la Libia e il Sahel centrale. È quanto profila il Rapporto Fsin che lancia l’allarme Yemen, che «continuerà ad essere il Paese con la più grande crisi alimentare del mondo, ulteriormente aggravata dal collasso economico e dalle epidemie».

Sempre secondo il rapporto, drammatiche le previsioni anche sulle conseguenze della siccità in Africa (Somalia, Etiopia e Kenya orientale, Senegal, Ciad, Niger, Mali, Mauritania e Burkina Faso). Qualche spiraglio positivo viene aperto per l’Africa australe, grazie a «una produzione cerealicola eccezionale nel 2017 e prezzi alimentari più bassi». Anche qui però ci sarà bisogno di sostenere «la capacità di ripresa». Dal Rapporto emerge anche l’indicazione per le organizzazioni impegnate in quest’ambito a «lavorare insieme e migliorare la qualità e la condivisione dei dati». Soprattutto però su scala globale «nessun miglioramento significativo potrà essere previsto finché la pace non sarà raggiunta e i mezzi di sussistenza non saranno ripristinati». Sarà quindi ancora «essenziale» mettere in campo interventi per «salvare vite umane, rafforzare la resilienza e contribuire al mantenimento della pace».