Mondo

Giordania: padre Alamat (Amman), abbiamo bisogno di aiuto internazionale per i rifugiati

(dall’inviato Sir ad Amman) «Siamo fieri della Giordania capace di accogliere così tanti rifugiati sul suo territorio. L’ospitalità costa cara, ma la Giordania resta aperta all’accoglienza. Tuttavia abbiamo bisogno dell’aiuto internazionale». Così padre Ala Nadim Alamat, direttore del Centro «Nostra Signora della Pace» di Amman, racconta l’operato giordano a favore dei rifugiati iracheni e siriani, fuggiti dalla violenza dello Stato islamico.

Secondo le autorità giordane sarebbero circa 1.400 000, cioè il 20% della popolazione totale, uno su cinque abitanti. Il 20% circa dei rifugiati siriani vive nei campi profughi di Azraq e Zaatari, nel nord del Paese, mentre la grande maggioranza si trova nelle città. Parlando con i vescovi dell’Holy Land Coordination (Hlc) giunti ad Amman per portare la loro solidarietà ai rifugiati, il direttore ha spiegato che attualmente «molte famiglie vivono in appartamenti, aiutate dalla Caritas. Mentre i giovani vanno a scuola, i genitori tentano di trovare un’occupazione saltuaria, anche perché il governo non rilascia loro permessi di lavoro. La multa per ‘attività lavorativa a pagamento senza permesso’ va dai 2.000 ai 3.000 dinari (più o meno la stessa cifra in euro), e comporta l’espulsione dal territorio. La maggior parte degli iracheni non sono stati registrati come rifugiati dall’Unhcr e, dunque, risultano come senza-dimora. Per loro l’unico aiuto arriva dalle Chiese».

L’alto numero di persone assistite mette la Caritas Giordania nella condizione di cercare fondi per continuare la sua opera. «Al momento – spiega padre Alamat – la Caritas è in grado di coprire le spese di affitto per una famiglia lungo un periodo che va dai sei ai dieci mesi, dopo di che un’altra soluzione deve essere trovata». Diversa la situazione dei siriani, che sono la stragrande maggioranza dei rifugiati, pochissimi dei quali cristiani, ai quali l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, offre solo un aiuto di base, per cui molti si indebitano per sostenere e alloggiare la famiglia». Condizioni difficili per cui, rivela il direttore, «c’è chi spera di rientrare in Siria nonostante la guerra». Gli iracheni che vivono in condizioni precarie si informano per un possibile rientro in Kurdistan ma non a Mosul o nei villaggi della Piana di Ninive nelle mani di Daesh. «La speranza di tutti gli iracheni – sottolinea padre Alamat – è quella di emigrare in Usa e Australia, dove vivono molte comunità irachene caldee».