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Invocazione di pace, la testimonianza del Rabbino di Firenze

Il Rabbino Capo di Firenze, Joseph Levi ha partecipato all’incontro  in Vaticano: «Ho reagito con grande entusiasmo all’invito. Ho sentito risuonare i temi che proponeva Giorgio La Pira a Hebron nel 1969».

Joseph Levi, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Firenze ha partecipato all’incontro promosso in Vaticano lo scorso 8 giugno e ci racconta il suo punto di vista sull’evento e sulle prospettive, auspicando un «allargamento della leadership mediorientale» e una grande urgenza su questi temi: «si è alzata una voce di rifiuto della logica della guerra, di superamento delle esigenze nazionali e territoriali a favore di una voce unanime che vuole costruire vita e felicità, che comunica ai politici quello che la gente veramente vuole. Una voce che suona non nel deserto ma nelle nostre città e nei nostri cuori».

Come commenta la cerimonia dell’Invocazione e i tre interventi delle tre religioni?

«I tre interventi sono andati nella direzione di invocazione della pace e questo rappresenta oggi un nuovo punto di partenza. Il Papa ha evocato le difficoltà della pace e del fatto che è più facile distruggere che costruire, ribadendo che le energie che Dio ci dà devono essere usate per cose buone e per la giusta direzione. Peres ha parlato della necessità di costruire la pace anche attraverso il compromesso».

Questa iniziativa ha avuto una grande eco mediatica, lei come l’ha vissuta personalmente?

«Ho reagito con grande entusiasmo all’invito che mi è stato rivolto dalla Rabbanut israeliana (Ufficio dei Rabbini capo di Israele, ndr). Già durante la recente visita a Gerusalemme, Papa Francesco aveva riproposto il contenitore comune della fede Abramitica per le tre grandi religioni monoteiste. Papa Francesco l’ha ripetuto in questo incontro in Vaticano compiendo dunque un altro passo avanti. Non è stata una dichiarazione a voce bassa ma un’invocazione a voce alta e per tutto il mondo. Se posso permettermi di dire una cosa che nella cerimonia mi è piaciuta meno, forse perché estranea al modo ebraico di celebrare e di incontrarsi, è stata la formalità, i toni erano un po’ troppo freddi e ufficiali per un momento di incontro. È stata una cerimonia un po’ impostata, “abbottonata”, mekuftar si direbbe in ebraico. Mi è capitato spesso di partecipare ad incontri per la pace e a riunioni con le altre religioni. Sono spesso tornato da questi incontri, organizzati con grande sapienza dalla Comunità di Sant’Egidio, carico di speranza e di entusiasmo. Chiaramente il livello dell’incontro promosso dal Papa ha coinvolto personalità di primo livello e un po’ di rigidità era forse inevitabile».

Lei commentando questa iniziativa ha parlato del Sindaco Giorgio la Pira, ci può spiegare perché?

«Per me è stato molto commovente sentire questa proposta di Papa Francesco perché ho sentito risuonare i temi che proponeva Giorgio La Pira nel 1969. 45 anni fa ero presente quando La Pira riunì ad Hebron esponenti  palestinesi e israeliani assieme ai sindaci di Betlemme e Hebron a pregare per la pace sulla tomba di Abramo. Ho vissuto l’incontro come una riproposizione di quel progetto, il rinnovamento di quel contenitore del linguaggio religioso che apre i cuori e avvicina le persone e che può e deve diventare un progetto programmatico che anima la politica e la ispira».

Le tre religioni sembra che abbiano parlato la stessa lingua. È stato davvero così secondo lei e qual è stato il vero valore aggiunto di questo incontro?

«Il fatto che questo incontro ha proposto un esame di coscienza non solo a chi prega ma anche ai leader laici e non religiosi. Abbiamo avuto la possibilità di invocare la pace e nessun leader si è negato. Questo  è senz’altro un passo avanti. Questo evento si colloca su una strada nuova, si sono incontrate le coscienze e ritengo ciò molto positivo. Adesso dobbiamo attendere fiduciosi che questo incontro dia i suoi frutti».

In che senso?

«Secondo me sarebbe stato auspicabile fissare già la prossima tappa, se fossi stato Peres o Abbas avrei già invitato il Papa ad un nuovo incontro, magari non in Vaticano, ma a Gerusalemme, a Betlemme a Hebron per dare sostanza e continuità a quanto avviato».

Qualcuno ha criticato il tono ambiguo di alcuni interventi, anche lei condivide questo giudizio?

«Penso che in questa fase bisogna guardare alla sostanza e superare il più possibile le critiche. Anche io ho notato che qualcuno fra i leader era più preoccupato di parlare ai suoi governanti appena insediati piuttosto che rivolgersi agli altri ospiti ma ora però abbiamo un nuovo punto di incontro e dobbiamo camminare esaltando la volontà di pace che vada aldilà della lettera scritta».