Mondo

Isis, sventola ancora la bandiera nera

È in corso, con tutti i suoi orrori, quella «terza guerra mondiale ma a pezzi» denunciata da Papa Francesco. Una guerra senza regole in cui si è drammaticamente innalzato il livello di crudeltà dell’umanità. A morire sono cristiani, sciiti, sunniti, alauiti, yazidi, armeni, curdi, assiri. Un interminabile filo di sangue che scorre in una guerra senza confini che tocca milioni di persone.

Il piccolo Youssef gioca a nascondersi tra le gambe del padre che attende pazientemente il suo turno per prendere il pacco di viveri per la famiglia. I fratelli più grandi lo guardano da sotto l’ombra di un albero al centro del cortile della scuola san Giuseppe di Zarqa, a Nord-Est di Amman, la capitale della Giordania. La famiglia di Youssef è di Qaraqosh, il più grande dei villaggi cristiani situati nella Piana di Ninive, nell’area di Mosul (Iraq) oggi roccaforte dei miliziani dello Stato Islamico (Is).

Fuggiti in piena notte, con quel poco che sono riusciti a portare via, sotto le minacce dei Daesh, parola araba con cui vengono chiamati i militanti dell’Is, poco prima dell’inizio della mattanza. Erano i primi giorni di agosto del 2014… Da allora Youssef gioca nel cortile della scuola san Giuseppe, lontano chilometri dalla sua casa, dai suoi amici, dalla sua scuola, dal resto dei suoi familiari, di cui non si conosce la sorte. La sua vita e quella della sua famiglia dipendono dagli aiuti umanitari, i pochi ricordi rimasti sono ancora dentro un trolley mezzo vuoto, impolverato, riposto in un angolo della stanza dove dormono, mangiano e vivono tutti insieme. Rientrare in Iraq non è pensabile almeno fino a quando le bandiere nere del Califfato sventoleranno su Mosul e sulla Piana di Ninive.

La storia di Youssef è la stessa di tanti, e sono milioni, rifugiati, sfollati e profughi vittime di una violenza che trita corpi e devasta vite, senza distinzione alcuna. Non importa se cristiani, sciiti, sunniti, alauiti, yazidi, armeni, curdi, assiri. Non importa se in Iraq, in Siria, in Libano, in Tunisia, in Libia, in Giordania, in Egitto, a Gaza, In Israele, in Palestina, in Nigeria, in Ciad, in Camerun, in Afghanistan. Un lungo elenco di Paesi che non conoscono più confini geografici. Milioni di persone che si muovono per sfuggire alla violenza, alla morte, all’insicurezza, all’incertezza di un futuro che non ha nulla da offrire se non povertà e stenti. E nell’immediato solo un pacco viveri, una tenda e quel poco che un campo rifugiati può offrire. Per i più disperati una carretta del mare cui restare aggrappati con il proprio zaino di sogni.

«Oggi noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto!», ricordava Papa Francesco ai giornalisti durante il volo Seoul-Roma, il 18 agosto 2014, al rientro dal viaggio apostolico nella Repubblica di Corea. Un Pontefice molto scosso dagli avvenimenti e dai sanguinosi combattimenti nel mondo, soprattutto in Siria e Iraq. «Siamo nella Terza Guerra Mondiale, ma ‘a pezzi’. È un mondo in guerra, dove si compiono queste crudeltà…», le parole del Papa che rimarcava la tortura e la crudeltà, come segni distintivi di questo conflitto globale. La crudeltà: «Oggi i bambini non contano! Una volta si parlava di una guerra convenzionale; oggi questo non conta. Oggi arriva la bomba e ti ammazza l’innocente con il colpevole, il bambino, con la donna, con la mamma… ammazzano tutti. Il livello di crudeltà dell’umanità, in questo momento, fa piuttosto spaventare». La tortura: «Oggi la tortura è uno dei mezzi quasi ordinari dei comportamenti dei servizi di intelligence, dei processi giudiziari. La tortura è un peccato contro l’umanità».Questo accadeva un anno fa.

Youssef continua a giocare nel cortile sotto lo sguardo dei suoi fratelli, ignaro di ciò che avviene fuori. Inconsapevole di un futuro privo di luce e ricco solo di ombre. La sua famiglia continua a vivere solo grazie a un pacco viveri, senza un lavoro, senza una casa, senza un’istruzione adeguata, senza tutele. Realistico chiedersi: fino a quando? Intanto la bandiera nera dell’Is continua a sventolare ancora sopra le chiese di Mosul, tra le moschee distrutte, tra i palazzi bombardati. La crudeltà continua a veicolare terrore da ogni parte in lotta con sgozzamenti, bombe, lapidazioni, esecuzioni sommarie, torture compiute anche da bambini, e mostrate in video attraverso la rete, altro grande fronte su cui si combatte questa guerra. Intere popolazioni tenute sotto assedio, assetate e affamate, come ad Aleppo, a Mosul, in nome d’interessi particolari, di mire economiche e geopolitiche condivise anche da chi questa Terza Guerra, da una parte, la foraggia con armi e denaro e, dall’altra, cerca di fermarla (!) con molti più armamenti e pochi sforzi diplomatici. E non può bastare l’accordo sul nucleare iraniano – cui peraltro fa da contrappeso lo stallo negoziale tra israeliani e palestinesi – per ridare respiro e certezze di dialogo a una regione in tumulto. Per Youssef questa guerra è come un gioco, un motivo per correre e scorrazzare nel cortile della scuola. Ancora per poco. La guerra dei Grandi lo insegue, lo bracca. È solo questione di tempo e fuggire non sarà facile.