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Israele: da Alta Corte via libera a muro Cremisan. Le reazioni della Chiesa

Dietrofront dell'Alta Corte israeliana. A pochi mesi di distanza dallo stop ha di nuovo autorizzato i lavori di costruzione della barriera nella Valle di Cremisan.

«Con la sentenza di aprile, l’Alta Corte israeliana aveva stabilito che il muro israeliano non poteva essere costruito a Cremisan e intimato alle autorità militari israeliane di considerare altre alternative meno dannose per la popolazione locale di Beit Jala e per i monasteri che si trovano nella valle. Con la decisione di ieri la Corte ha ribaltato tutto e di fatto ha dato il via libera alla costruzione del muro nella valle di Cremisan». Raffoul Rofa, direttore della «Society St.Yves», organizzazione cattolica per la difesa dei diritti umani, che opera sotto il patrocinio del Patriarcato latino di Gerusalemme, commenta così al Sir la decisione della Corte Suprema israeliana di consentire la costruzione del muro autorizzandone la ripresa dei lavori. Un vero e proprio ribaltone giudiziario. «Secondo quanto deciso dalla Corte – spiega Rofa, che sin dall’inizio ha seguito l’iter giudiziario della vicenda, durato circa 8 anni – il muro passerà sulle terre agricole di proprietà di 58 famiglie palestinesi della zona di Beit Jala e non più su quelle in cui si trovano la scuola e i due conventi salesiani che resteranno in territorio palestinese, raggiungibili dalla città di Beit Jala. La confisca di queste terre potrebbe avvenire in qualsiasi momento e siamo per questo pronti a ogni tentativo di ricorso».

«Siamo sorpresi per l’incredibile decisione della Corte che autorizza i lavori senza più ammettere ricorso – è il commento a Fides di monsignor William Shomali, vicario patriarcale del Patriarcato latino di Gerusalemme – e cerchiamo di capire le ragioni di questo fatto. Il drastico cambiamento rispetto al pronunciamento precedente può essere una reazione davanti al recente riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina da parte della Santa Sede. Non c’erano state grandi reazioni formali a quel riconoscimento. Adesso abbiamo la sensazione che, come in altri casi, la risposta sia arrivata con la politica dei fatti compiuti». Il vicario patriarcale per la città di Gerusalemme avanza anche altre considerazioni: «L’impressione è che non si sia mai davvero rinunciato ad appropriarsi di quei terreni di Cremisan, per avere un’area in cui poter allargare gli insediamenti israeliani di Gilo e Har Gilo, costruiti anche essi su terre sottratte alla città palestinese di Beit Jala. Questa era l’intenzione fin dall’inizio, l’obiettivo a cui si mirava, e a questo si vuole arrivare a ogni costo».

Ricorso contro la decisione è stato subito presentato dall’‘avvocato Ghiath Nasser, che difende gli interessi della municipalità di Beit Jala e delle famiglie proprietarie dei terreni a rischio confisca, che ha ricevuto l‘appoggio e il sostegno anche della St. Yves. Ricorso che, affermano dalla St. Yves, è stato respinto dalla Corte secondo la quale la decisione di ieri, 7 luglio, non sarebbe in contraddizione con quella precedente di aprile. Da qui la condanna dell’organismo cattolico: «Questa nuova sentenza creerà gravi danni ai monasteri, ai locali e ai proprietari terrieri della valle di Cremisan. Essa è in opposizione alla sentenza di aprile che intimava al ministero della Difesa di Israele di considerare alternative meno dannose al tracciato». Nel suo comunicato la St. Yves ribadisce «l‘illegalità del muro per il diritto internazionale, e come stabilito dalla Corte Internazionale di Giustizia, e avverte che la sua costruzione viola gravemente i diritti fondamentali e le libertà dei palestinesi». Dal canto suo l‘avvocato Nasser ha annunciato battaglia legale non ritenendo definitiva la decisione della Corte e presentando, entro pochi giorni, una nuova petizione a riguardo