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«La pace è nelle mani di Israele»

Incontro a Follonica con il Patriarca di Gerusalemme in occasione dei 1500 anni della diocesi di Massa Marittima-Piombino. «La pace è possibile, la pace deve essere possibile», ha esordito il Patriarca, che subito dopo si è chiesto: «Perché c'è la guerra, perché c'è la violenza in Palestina?». La risposta è stata immediata: «La guerra è la conseguenza dell'occupazione dei territori compiuta da Israele nel 1967. Israele non intende ritirarsi; i palestinesi lottano anche in modo violento per avere i territori; gli israeliani rispondono anch'essi in modo violento con le rappresaglie».DI ANGELO SOLDATINI

DI ANGELO SOLDATINI

«Sono tante le ingiustizie, perché i potenti del mondo si permettono di essere ingiusti con i deboli del mondo». È una della tante affermazioni pronunciate con fermezza e coraggio dal Patriarca di Gerusalemme Michel Sabbah partecipando alla «Giornata della Pace» a Follonica il 10 gennaio scorso. Una giornata promossa e organizzata dalla diocesi di Massa Marittima-Piombino per riflettere sul presente di guerra. Una giornata voluta dal vescovo Giovanni Santucci nel contesto delle celebrazioni per il Giubileo dei 1500 anni della diocesi toscana.

Il tema di riflessione («Pace per Gerusalemme, pace per tutti i popoli»), la partecipazione del Patriarca di Gerusalemme, insieme a numerose autorità civili e religiose, a partire dal presidente della Regione Claudio Martini, dal cardinale Silvano Piovanelli e dal presidente della Conferenza episcopale toscana Alessandro Plotti, hanno dato all’iniziativa un carattere regionale (presenti anche i vescovi di Siena, di Volterra e di Montepulciano).

La giornata è iniziata alle 16 con la Marcia della pace che dalla parrocchia di San Leopoldo ha raggiunto il Palagolfo. Qui fino a notte inoltrata si sono alternati interventi, testimonianze, preghiere e musica per capire se dobbiamo rassegnarci a «convivere con la morte» o se la pace sia possibile. Don Sebastiano Leone, coordinatore dell’iniziativa, ha inoltre proposto per questa giornata il digiuno come richiesta di perdono e atto di rinuncia, il cui corrispettivo è stato dato come segno di solidarietà per le scuole di Betlemme.

Tanta la gente che ha partecipato silenziosa alla marcia, commossa nell’ascolto di tante storie di sofferenza e di morte raccontate da testimoni autentici, plaudente ad ogni affermazione dei valori universali, rattristata della constatazione di tante ingiustizie. Tanti i giovani con i loro striscioni a ricordare che «Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono».

Il vescovo Santucci ha presentato gli scopi dell’iniziativa: «Considerando l’anno 2001 appena trascorso con i fatti di Genova in occasione del G8, le 28 guerre combattute nel mondo, i tragici fatti dell’11 settembre con l’attacco alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono, la guerra in Afghanistan che ancora insanguina quella terra, abbiamo creduto opportuno – ha detto il vescovo di Massa Marittima-Piombino – promuovere una mobilitazione delle comunità che permettesse di prendere coscienza che la guerra è un non senso, non è una risoluzione di alcun problema ma aggiunge dolore al dolore».

L’attesa di sentire una parola chiara dalla voce di un testimone dei nostri tempi come il Patriarca latino di Gerusalemme non è andata delusa. Troppe volte, invece, il linguaggio della diplomazia e della politica, o quello della prudenza hanno la meglio sulla chiarezza. Ma a Follonica, al Palagolfo gremito di folla, non è stato così. Le affermazioni di monsignor Michel Sabbah non hanno lasciato spazio a dubbi.«La pace è possibile, la pace deve essere possibile», ha esordito il Patriarca, che subito dopo si è chiesto: «Perché c’è la guerra, perché c’è la violenza in Palestina?». La risposta è stata immediata: «La guerra è la conseguenza dell’occupazione dei territori compiuta da Israele nel 1967. Sta qui l’essenza del conflitto di oggi: Israele non intende ritirarsi; i palestinesi lottano anche in modo violento per avere i territori; gli israeliani rispondono anch’essi in modo violento con le rappresaglie». Sabbah ha sottolineato che «mettere fine a questa violenza sarebbe semplice: basterebbe mettere fine all’occupazione. E Israele lo potrebbe fare. Si tratta di ritirarsi dai seimila chilometri quadrati di terra occupata su un totale di ventimila. I territori rappresentano appena il 22% di tutta la Palestina».Il Patriarca si è poi posto una seconda domanda: «Perché Israele non arriva ad imporre la pace. Perché non c’è la pace nel programma del suo Governo? Eppure, se Israele lo volesse potrebbe realizzarla mettendo fine all’occupazione. La pace – a giudizio del Patriarca – è dunque nelle mani del governo israeliano, non in quelle di Arafat o dei palestinesi. I palestinesi sono privati di tutto, non hanno niente: non hanno la libertà, non hanno i territori, non hanno lavoro, non hanno il pane. Israele ha in mano i territori occupati. Israele può fare la pace se vuole la pace».

Il Patriarca ha poi lanciato un invito, che al tempo stesso è suonato come un’accusa alla comunità internazionale: «Quello di cui abbiamo bisogno per la pace in Terra Santa è una comunità internazionale che abbia il coraggio di fare la pace. La comunità internazionale ha già preso delle decisioni per regolare tutta la situazione, ma nessuno ha il coraggio di applicarle. In altre parti del mondo la comunità internazionale applica e impone le decisioni delle Nazioni Unite. Ma per la Palestina non c’è nessuno che applichi le decisioni dell’Onu. Per la Palestina non c’è nessun uomo coraggioso che sappia farle rispettare. Chi avrà il coraggio di fare la pace in Terra Santa dovrà avere il coraggio di accettare il martirio e pagare il prezzo della pace. Il prezzo della pace sarà la propria vita. Quando avremo questo tipo di persone, sia nella comunità internazionale che nel governo locale, persone che abbiamo una altra visione della vita più giusta, persone che sappiano pagare il prezzo della pace, questo sarà il momento della pace, ma questo momento dipende da Dio e avverrà quando Dio lo vorrà».

Sabbah ha quindi lanciato un appello alle Chiese del mondo: «Oggi non c’è nessuna speranza di pace secondo le prospettive degli uomini, ma nella prospettiva di Dio sì, perché solo Dio può rifare i nuovi cuori. La Chiesa dà speranza a questo popolo a cui oggi manca tutto».

Ma non è solo un conflitto fra israeliani e palestinesi: «C’è anche – a giudizio del Patriarca – un aspetto cristiano, perché il conflitto ha luogo intorno ai Luoghi Santi, che sono i luoghi della nascita del tutto il cristianesimo e per questo devono interessare tutti i cristiani. Di conseguenza le Chiese del mondo dovrebbero essere più eloquenti, agire di più e sentire il conflitto come loro e non come un conflitto degli altri. Le Chiese dovrebbero aiutare i due popoli ad arrivare ad una risoluzione del conflitto. Questo è quello che noi domandiamo».

A proposito dei fatti dell’11 settembre e della guerra in Afghanistan, il Patriarca di Gerusalemme ha parlato di «tragedia». «Ogni guerra, ogni forma di violenza – ha detto – è una tragedia e ciascuno di noi ne è in parte responsabile. Dobbiamo eliminare le cause delle guerre, ovvero le tante ingiustizie presenti nel mondo».