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Libertà religiosa: rapporto Acs, «iper-estremismo islamico» provoca incremento rifugiati nel mondo

L'«iper-estremismo islamico» è «un fattore chiave nel massiccio incremento del numero di rifugiati nel mondo». È uno dei dati salienti del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, presentato oggi a Roma, presso la Sala Stampa Estera, da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs).

Nel periodo tra giugno 2014 e giugno 2016, stando ai dati della ricerca, la libertà religiosa è diminuita in 11 dei 23 Paesi responsabili delle più efferate violazioni. In particolare, si è consolidato il fenomeno dell’iper-radicalismo islamico, cioè «un processo di accresciuta radicalizzazione la cui espressione violenta non ha precedenti», in base al quale «il sedicente Stato islamico e i gruppi fondamentalisti commettono crimini a danno di cristiani, yazidi e altre minoranze», contravvenendo alla Convenzione Onu per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio.

«Il Rapporto – ha detto Alfredo Mantovano, Presidente di ACS-Italia, aprendo la presentazione della XIII edizione del Rapporto ACS sulla libertà religiosa nel mondo – è uno strumento per sostenere le comunità perseguitate attraverso i progetti». Per il Direttore di Avvenire Marco Tarquinio, moderatore dell’incontro, il «Rapporto ACS serve per dare «una sveglia» sul tema della persecuzione». L’introduzione è stata curata dal Direttore di ACS-Italia Alessandro Monteduro, il quale, in merito al rispetto della libertà religiosa, ha affermato che «la situazione più terribile riguarda la Corea del Nord». A questo Paese va «la «maglia nera» del Rapporto di quest’anno. Sappiamo solo che, per qualunque gruppo religioso, non è possibile esercitare la propria fede».

Delle 196 nazioni esaminate nel Rapporto, prosegue Monteduro, «38 sono quelle che versano nella situazione più difficile. Di queste, 23 subiscono le persecuzioni più efferate: 12 da parte dello Stato e 11 da gruppi militanti radicali. Gli altri 15 Paesi si collocano nell’area tra la discriminazione e la persecuzione. Sette sono, infine, i Paesi per i quali è difficile perfino immaginare una classificazione, e dunque quelli in cui la libertà religiosa è in maggiore pericolo: Arabia Saudita, Iraq, Siria, Afghanistan, Somalia, Nord Nigeria e Corea del Nord.». Il Rapporto, ha concluso, «è uno strumento per restituire la speranza ai perseguitati attraverso i nostri progetti».

Il Presidente Internazionale di ACS, card. Mauro Piacenza, nel suo intervento, ha affermato che «la libertà religiosa deve essere tutelata in ogni ordinamento giuridico; in particolare, le moderne democrazie non debbono fondarsi sul relativismo, bensì sul rispetto della libertà religiosa, che deve essere riscoperta nel foro pubblico».

A seguire l’intervento del Giudice Costituzionale Giuliano Amato, il quale ha affermato che mentre «permane la persecuzione di Stato, se ne aggiunge anche un’altra, con un fondamento più ampio». Il dittatore nordcoreano è «un caso di follia che fa vittime, ma il vero problema è l’attuale fondamentalismo religioso – ha proseguito l’ex Presidente del Consiglio -. E alla radice del fondamentalismo c’è la laicizzazione estrema che intende sradicare la religione, e che genera una reazione identitaria; comprimere la religione determina una distorsione del sentimento religioso.». Amato ha concluso dichiarando che «si possono fare guai anche con la «laïcité francese», perché essa può favorire la reazione fondamentalista.».

La testimonianza è stata affidata a monsignor Jacques Behnan Hindo, Arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi (Siria). Nel suo intervento il prelato ha precisato che «la sharia nega la libertà di coscienza», e che «in Siria non c’è libertà per i Cristiani» e questo soprattutto perché in quella nazione, storicamente terra di invasioni, «l’Islam è politico. Daesh non è solo anticristiano – ha concluso -, è anti- tutti quelli che non sono Daesh».

Tarquinio ha tirato le fila degli interventi ringraziando la Fondazione per la sua attività di sostegno tramite i progetti, ed ha evocato due figure di donne, quali altrettanti simboli di speranza: la pakistana Asia Bibi, tuttora detenuta, e la bangladese Ishrat Akhond, uccisa nel recente attentato di Dacca.