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Libia: Bottalico (Acli), «no ad altre bombe»

«Fermare il caos in Libia, contrastare le milizie fondamentaliste e tutti i gruppi armati è possibile senza più ripetere gli errori del passato. Un altro intervento armato porterebbe solo all'aggravamento della situazione». Lo ha affermato Gianni Bottalico, presidente nazionale delle Acli le quali, attraverso la Rete della Pace hanno lanciato un appello volto ad evitare un nuovo intervento armato nel Paese disastrato dalla guerra del 2011.

«Il massimo sforzo – ha proseguito Bottalico – deve invece essere fatto per ripristinare le forme minime della statualità in Libia attraverso le vie della politica e della diplomazia, a cominciare dall’interlocuzione con il governo legittimo della Libia, e per un’iniziativa dell’Onu per un accordo tra le parti. Già rappresenta un grande passo in avanti il fatto che si sia tornati a mettere in primo piano la Libia nell’informazione e nel dibattito politico». La rivolta al regime di Gheddafi, ha sottolineato il presidente delle Acli, «non fu affatto spontanea ma fu innescata dall’ingerenza di alcuni stati occidentali e la guerra del 2011 ha prodotto una situazione assai peggiore di quella conosciuta con la pur rigida dittatura. Ha perso il popolo libico, la popolazione civile, ma anche l’Italia non ci ha guadagnato in reputazione, in sicurezza, in affari».

«Con la decisione di concedere le basi militari italiane per la guerra del 2011 il nostro Paese si è reso ugualmente responsabile, insieme a Francia e Regno Unito, della situazione che si è venuta a creare in Libia e verso i migranti che attraversano quel Paese nei loro viaggi della speranza», ha sostenuto Bottalico. Perciò, «l’Unione Europea, e i singoli stati membri, devono intensificare il loro impegno, garantendo assistenza umanitaria a profughi e migranti per mettere in campo un’operazione di salvataggio in mare e di accoglienza». Pertanto «ci associamo – conclude il presidente delle Acli – alle richieste avanzate nel documento congiunto delle associazioni per la pace: la comunità internazionale, sotto guida Onu e con l’impegno e la cooperazione della Lega araba e dell’Organizzazione degli stati africani, deve farsi garante e protettrice di un futuro accordo di pace, anche al fine di mettere alle strette Qatar, Arabia Saudita ed altri paesi della regione che – in maniera ipocrita – sono responsabili nel sostegno e nella propagazione delle guerre in corso. Bloccare le fonti di finanziamento del terrorismo, la vendita delle armi e di petrolio, le complicità con i diversi gruppi di miliziani armati che imperversano nella regione. Un modo per non diventare complici in un conflitto che ci vede già molto responsabili».