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Ripresi i negoziati: «Modello Sudafrica per far convivere israeliani e palestinesi”

Israele è pronto a fare alcuni passi concreti nei prossimi giorni per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi nei territori occupati, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Intervista con Vittorio E. Parsi che lancia la proposta dinanzi a un dialogo ancora difficile.

Israele è pronto a fare alcuni passi concreti nei prossimi giorni per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi nei territori occupati, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Lo ha assicurato il segretario di Stato americano John Kerry, a margine dei negoziati tra Israele e Palestina ripresi il 29 luglio. Secondo Kerry il traguardo di un’intesa sullo status finale basata sul principio “due popoli due Stati”, è possibile. Il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu ha dato l’assenso alla liberazione di 104 detenuti palestinesi, in carcere da oltre vent’anni, pur di far ripartire il dialogo. Sottoporrà, inoltre, a referendum popolare qualsiasi accordo verrà raggiunto con i palestinesi. Ne abbiamo parlato con Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta scuola di economia e relazioni internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.Dopo circa tre anni di stallo sono ripresi i negoziati, sotto quali auspici?“Francamente mi sembra uno stanco rito. Non credo ci si possa fare molte illusioni, perché è un modo degli Stati Uniti per far vedere che riescono a esercitare un’influenza sull’alleato israeliano, vista la serie d’insuccessi complessivi in Medio Oriente. Non si capisce bene quali siano gli elementi nuovi su cui trattare. Il muro va avanti, gli insediamenti continuano, dei diritti dei palestinesi non si parla, il clima politico in Israele non vede un governo talmente forte e solido da prendere iniziative coraggiose. In questo momento stiamo di fronte all’emergenza siriana, all’emergenza egiziana, alla probabile emergenza libanese, gli Stati Uniti devono far vedere di essere in grado di far qualcosa. Il governo israeliano ha liberato qualcuno giusto per dare l’avvio ai dialoghi. Però tutto questo è avvenuto dopo massicci insediamenti israeliani in tutti i territori occupati”.L’ipotesi di restituire i territori occupati verrà presa in considerazione?“Non mi pare che si stiano muovendo in questa direzione. Sarebbe come se, tra due vicini di casa, uno sottrae all’altro il terreno bello, con vista mare, dove costruire la villa e l’altro dà in cambio una pietraia scoscesa”.L’ipotesi “due popoli due Stati” è davvero possibile?“Dovrebbe cambiare radicalmente l’atteggiamento israeliano, smantellando alcuni insediamenti. Ma il segnale è esattamente l’opposto. A me sembra, sinceramente, che la possibilità di avere due Stati per due popoli si stia un po’ chiudendo. Fino a una decina d’anni fa si poteva ancora ipotizzare una soluzione, magari temporanea, che avrebbe potuto porre le premesse per accordi complessivi futuri. Ma mi pare che ormai la demografia renda impraticabile questa soluzione. La mia sensazione è che, a questo punto, quello che era un obiettivo più facile da perseguire sarebbe insufficiente nell’arco di pochissimi anni. Quindi ci si dovrebbe muovere verso una soluzione di uno Stato ‘arcobaleno’ in cui palestinesi e israeliani convivano. È l’unica via che potrebbe essere risolutiva. Certo, questo significa il superamento dello Stato d’Israele. Però la storia è dettata dai tempi, se le opportunità non si colgono…”.Quale sarebbe il modello di Stato?“Uno Stato liberale costituzionale con diverse appartenenze religiose, sul modello sudafricano, a condizioni estremamente più favorevoli per gli israeliani di quanto fossero per gli africani in Sudafrica. Perché al momento gli israeliani ebrei sono ancora la maggioranza. C’è un territorio con due popoli, due storie diverse, che il destino ha costretto a vivere insieme combattendosi o unendosi”.Però non c’è un Nelson Mandela in Palestina…“Sono d’accordo, e non c’è nemmeno un De Klerk in Israele. Inoltre i tempi giocano contro. Quindi bisognerebbe trovare una soluzione più audace, soprattutto da parte di Israele, in modo che ebrei, cristiani e palestinesi possano essere cittadini di uno Stato. È difficilissimo ma mi pare non ci siano altre possibilità d’uscita dal conflitto”.L’opinione pubblica israeliana da che parte sta?“È difficile dirsi. Finora l’opinione pubblica è stata più favorevole, rispetto alla maggioranza di governo, a un’idea complessiva di pace verso i territori. Poi, nel dettaglio, non si sa quali territori, quale pace, con che riconoscimento dell’indipendenza palestinese. Il rischio è che al referendum non si arrivi nemmeno. Ogni volta che riprendono i dialoghi c’è sempre qualcuno che si mette di traverso, ci possono essere attentati. Il rischio di un nulla di fatto è molto elevato. Certo, tutta l’area intorno sta esplodendo, si potrebbe sperare che questo induca a un po’ di ragionevolezza. Però finora non s’è vista”.Anche perché, se si trovasse una soluzione al conflitto israelo-palestinese, tante altre situazioni potrebbero migliorare…“Il giorno in cui si arrivasse ad una soluzione concordata ed equa della questione israelo-palestinese toglieremmo dalle mani degli estremisti e dei radicali (di ogni parte) un fondamentale elemento di propaganda. Però è chiaro che deve essere una soluzione all’insegna dell’equità”.