Mondo

Terra Santa, religioni per la pace

Parlano il rettore della Comunità ortodossa russa di Firenze e il rabbino della Comunità ebraica di Livorno. Padre Blatinskij: «Il nostro ruolo è fondamentale. Non c'è alternativa». Kahn: israeliani e palestinesi sono stanchi della guerraDI ANDREA FAGIOLI

DI ANDREA FAGIOLI

Un’isola spirituale russa nel cuore di Firenze. La più antica chiesa ortodossa d’Italia: oltre un secolo di vita. Cinque cupole dorate che si stagliano nel cielo (non sempre limpido) dei viali di circonvallazione, in via Leone X, a due passi dalla Fortezza da Basso. Le forme esotiche e ricercate del tempio disegnato dall’architetto Michail Preobrazenskij alla fine dell’Ottocento arricchiscono la «culla del Rinascimento» in una zona dove il traffico la fa ormai da padrone.

Ma nella chiesa dedicata alla Natività di Cristo e a San Nicola Taumaturgo il silenzio è quasi irreale. Vi entriamo all’indomani del 7 gennaio, il Natale ortodosso. Padre Georgij Blatinskij ci accoglie di fronte all’iconostasi donata dall’ultimo zar, Nicola II, nella parte superiore. La chiesa, infatti, è strutturata su due livelli. La volle così l’arciprete Vladimir Levitskij sull’esempio degli edifici sacri del nord della Russia: la parte superiore per l’estate, quella inferiore per l’inverno.

Padre Blatinskij è rettore della comunità ortodossa russa di Firenze dal 1997. È originario di San Pietroburgo, ma ha studiato all’istituto teologico ortodosso di San Sergio a Parigi. «La comunità russa di Firenze – come si legge nel volumetto che il rettore ci offre per capire meglio la storia di questa chiesa – è profondamente legata con la lontana madrepatria e la sua vita riflette in modo sensibile i cambiamenti che là avvengono. La caduta del regime sovietico ha liberato la Chiesa ortodossa dalla “schiavitù di Babilonia” ed ha favorito il ristabilirsi di rapporti normali tra Est e Ovest. In Italia hanno iniziato ad arrivare i turisti russi e a Firenze si sono stabiliti nuovi oriundi, non profughi politici, ma persone che hanno ottenuto il diritto di muoversi liberamente per il mondo ed il diritto di scegliere liberamente il luogo dove risiedere. Tutto questo ha portato nuova vita tra le vecchie mura della chiesa».

«A Firenze ci sono tanti russi – racconta padre Blatinskij – ma non tutti vengono in chiesa: diciamo che ci viene il dieci per cento. In tutto i praticanti saranno un centinaio: ci sono molte donne ucraine che lavorano a Firenze, ma anche greci, serbi, bulgari, eritrei. Abbiamo così accolto gli ortodossi di altra origine. Fino all’apertura della chiesa rumena, ci venivano anche i rumeni. Attualmente i russi rappresentano poco meno di un terzo dei fedeli. Siamo insomma una parrocchia multietnica. La liturgia – spiega il rettore – è celebrata in lingua slava antica, mentre l’Epistola e il Vangelo vengono letti in due lingue: in slavo e greco e in slavo e italiano. Alcune litanie vengono dette in italiano. Comunque per tutti ci sono dei libretti con testo slavo e italiano a fronte».

La chiesa della Natività di Cristo e di San Nicola Taumaturgo, che verso la metà degli anni Ottanta fu frequentata anche dal regista Andrej Tarkovskij, non dipende dal Patriarcato di Mosca: «Siamo esarcato del Patriarcato di Costantinopoli – spiega il rettore –. È un fatto storico, risale al 1932. Il mio arcivescovo è a Parigi».

Avviandoci verso la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, chiediamo a padre Blatinskij di parlarci dei rapporti, qui a Firenze, con gli altri cristiani, a partire dai cattolici. «Sono buoni con tutti – ci dice – ma soprattutto con i cattolici che sentiamo come i nostri fratelli cristiani più vicini». Il religioso russo ci parla poi di un’iniziativa molto importante alla quale si era pensato: una Eucarestia «comune», o meglio in contemporanea, tra cattolici e ortodossi, nelle catacombe romane di Santa Priscilla, il 23 gennaio, vigilia dell’incontro interreligioso di Assisi per la pace. Alle celebrazioni eucaristiche dovevano partecipare «la Chiesa ortodossa del nostro esarcato – spiega padre Blatinskij –, la Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca e la Chiesa greca. Non ci sono altri posti dove poter celebrare contemporaneamente l’Eucarestia con i cattolici. Del resto mille anni di divisioni non si annullano di colpo. Ma questo sarebbe stato un passo storico: celebrare contemporaneamente l’Eucarestia nel posto dove sono morti tanti martiri, dove è stato versato il sangue che dà la vita alla Chiesa. Questo sarebbe stato un passo reale, concreto, storico».

Veniamo alla Terra Santa. «Il nostro cuore di Chiesa – ci dice subito padre Blatinskij – è sulla tomba del Signore, in Terra Santa. La Terra Santa è il centro della vita ecclesiale per tutto il mondo cristiano. Lì si realizza la gioia natale e pasquale. Solo nei Luoghi Santi di Gerusalemme, nel giorno di Natale e nel giorno di Pasqua, abbiamo una Eucarestia in contemporanea tra Chiesa cattolica, Chiesa ortodossa e Chiesa armena».E il ruolo delle religioni per la pace? «Un ruolo importantissimo: sono l’unica via per salvare la vita, non tanto quella fisica quanto quella spirituale. Le religioni sono la strada della salvezza. Ci sono tante profezie nella Chiesa russa ortodossa e nelle altre Chiese riguardo agli “ultimi tempi”. Purtroppo una sorta di “ultimi tempi” li stiamo già vivendo: il male, le forze nemiche stanno invadendo il mondo. Come ortodossi e come cattolici dobbiamo guardare alla Confessione e alla Comunione. Le altre cose non contano. La strada della salvezza è lì. Ci saranno anche i disastri, le guerre, ma niente può turbare l’anima».

Un’ultima domanda: ci sarà un incontro tra il Papa e il Patriarca ortodosso russo? «È un punto interrogativo anche per me – risponde padre Blatinskij –. Forse ci sarà, ma quando non è possibile dirlo».

Kahn: israeliani e palestinesi sono stanchi della guerra«Questa giornata del dialogo e dell’amicizia ebraico-cristiana assume ogni volta una particolare importanza, perché permette di verificare quanto è stato fatto di concreto nel non semplice cammino verso la riconciliazione e la fraternità fra le nostre Comunità religiose, a partire dal lontano giorno in cui questo cammino è iniziato, cioè dalla conferenza di Seelisberg nel 1947». Si esprime in questi termini il rabbino Isidoro Kahn, responsabile della Comunità ebraica di Livorno, a proposito dell’imminente Giornata per il dialogo ebraico-cristiano che il 17 gennaio precede la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

«Stiamo percorrendo un cammino che non è ancora giunto alla sua meta, ma saremmo ingiusti con noi stessi – spiega il rabbino – se non riconoscessimo le significative tappe che di anno in anno abbiamo raggiunto. Dobbiamo quindi continuare ad operare e ad impegnarci non soltanto per realizzare una sempre maggiore conoscenza delle nostre specifiche peculiarità, conoscenza indispensabile nella lotta contro ogni forma di pregiudizio e di discriminazione, ma per unire la nostra voce a quella che si leva da più parti nel mondo in un anelito ad una pace universale». E a proposito di pace, non può mancare un riferimento al Medio Oriente per il quale Isidoro Kahn auspica «una pace giusta e autentica dovunque ci siano ancora conflitti e lacerazioni, una pace tanto attesa fra israeliani e palestinesi così come fra cristiani e musulmani».

In una precedente intervista al nostro settimanale, il rabbino aveva già messo in luce il desiderio di pace da parte del popolo israeliano: «Sono più di cinquant’anni che la popolazione vive nel terrore. Noi neppure possiamo immaginare cosa significhi ogni giorno avere paura di entrare in una discoteca, di salire sugli autobus, di andare al mercato…». Infine, un riferimento alla preghiera, che il rabbino di Livorno ritiene «fondamento di questa Giornata celebrativa che ricorre ogni anno il 17 gennaio». Una preghiera che è anche augurio, quello «che si realizzino la parole del profeta Isaia: “Benedetto sia il mio popolo, l’Egitto (l’Occidente) opera delle mie mani; benedetto sia l’Assiria (l’Oriente) e benedetto sia Israele, mia eredità in eterno».

In vista della Giornata del dialogo ebraico-cristiano, è intervenuto anche il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia, Amos Luzzatto, il quale ha messo in guardia dalla «commistione fra politica e religioni: se le attuali conflittualità vengono trasformate, lette e interpretate come conflittualità di culture, o peggio ancora, di religioni, ci allontaniamo della possibilità di risolverle». A giudizio di Luzzatto, questo è un pericolo che esiste e che «sta proprio nell’aggiungere l’aggettivo religioso a fenomeni che non hanno nulla di religioso. Non si tratta di condannare il fondamentalismo islamico, ma di combattere ogni forma di violenza e terrorismo. La giornata del 17 così come l’incontro dei leader religiosi per la pace ad Assisi devono parlare alle coscienze perché siano evitate queste derive».

La Toscana in aiuto di BetlemmeGiovannetti: Una crisi nata sulle disparità