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A due anni dalla «passeggiata» di Sharon

DI ROMANELLO CANTINIIl 28 settembre di due anni fa Ariel Sharon compariva all’improvviso con la sua scorta armata sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme. Il luogo, anche se vicino al Muro del Tempio, il centro delle religiosità ebraica, è ritenuto sacro dagli arabi. Sulla Spianata si erge la Cupola della Roccia da cui, secondo la tradizione musulmana, Maometto sarebbe salito al cielo, e l’Aqsa (“la moschea lontana”) dove, secondo una interpretazione coranica, Maometto avrebbe compiuto il suo miracoloso “viaggio notturno”.

Fino al 1967 la Spianata ha fatto parte della Gerusalemme rimasta in mano ai palestinesi. Ma anche dopo la conquista di Gerusalemme Est da parte israeliana con la guerra dei Sei giorni fu lo stesso generale Moshe Dayan che garantì personalmente ai palestinesi che la Spianata sarebbe rimasta in mano loro e il governo israeliano proibì agli ebrei, spesso anche con la forza, di pregare e di celebrare funzioni in quel luogo di cui i musulmani erano così gelosi. La “passeggiata” di Sharon veniva quindi a violare una sorta di lungo “accordo fra gentiluomini” e bucava un nervo scoperto non solo dei palestinesi, ma anche dell’intera sensibilità musulmana nel mondo.

Anche se Sharon ha sempre negato una sua premeditazione provocatoria, è chiaro che il suo gesto vuole mettere in discussione la eventuale sovranità palestinese anche su una parte della città. Quindici anni prima, appena era scoppiata la prima Intifada, egli, con un gesto dal significato analogo, era andato ad abitare in una casa nel bel mezzo della Gerusalemme araba. La comparsa di Sharon nel cuore di quella che i musulmani considerano la loro terza città santa, dopo la Mecca e Medina, scatena le prime sassaiole e le prime fucilate di risposta dei soldati israeliani. La rivolta in poche ore si estende a tutti i territori occupati. In tre giorni ci sono già trenta morti fra i palestinesi.

Il 30 settembre a Gaza un cameraman della televisione France2 riprende in diretta l’uccisione di Mohamad El Dirad, un ragazzo palestinese di dodici anni che è colpito a morte fra le braccia del padre accanto ad un cassonetto dell’immondizia. La sequenza, ripresa subito e ripetuta all’infinito da tutte le televisioni arabe, diventa l’immagine simbolo che infiamma e alimenta questa seconda intifada ben più terribile e spietata della prima. L’esplosione di violenza fa saltare i difficili colloqui di pace che in quei giorni si svolgono a Taba, in Egitto, fra il premier israeliano Barak e Yasser Arafat. Barak si dimette e, nel clima di odio e di insicurezza generale esploso con la rivolta, Ariel Sharon in febbraio stravince le elezioni con il 62% dei voti. Ogni speranza di pace si allontana. Da una parte si passa dalle pietre agli attentati suicidi. Dall’altra dai proiettili di gomma al fuoco dei carri armati nel cuore dei centri palestinesi. Ora dopo due anni si contano quasi duemila morti fra i palestinesi e seicento fra gli israeliani.

La schedaIL PREZZO PER ISRAELE

Dal momento dello scoppio della seconda Intifada (parola araba che indica sollevazione), il 29 settembre di due anni fa, l’economia israeliana ha perso circa 35 miliardi di sheqel (la divisa israeliana). Il costo per il prodotto interno lordo nel 2001 è stato del 2,7% e quest’anno si prevede possa essere compreso tra il 3,5 ed il 5%. In aggiunta la spesa per la difesa è salita, in questi due anni, di 4 miliardi di sheqel”.

E’ quanto scrive il quotidiano israeliano “Haaretz” che nel numero del 30 settembre dedica ampio spazio al secondo anniversario della seconda Intifada. “I primi nove mesi del 2000, quelli cioè prima dello scoppio dell’Intifada, – scrive Haaretz – sono stati i migliori per l’economia israeliana. Basti pensare che il numero delle società presenti nel listino Nasdaq era secondo solo a quello delle americane.

Nell’anno 2000 l’economia israeliana aveva registrato un impressionante tasso di crescita del 7,4%”. Tuttavia, gli ultimi mesi del 2000 hanno segnato “il declino dell’economia. Nel 2001 il tasso di crescita ha subito un tasso negativo pari allo 0,9%. Le esportazioni, che nel 2000 erano assestate al 23,9% sono cadute all’11,7 e il tasso di disoccupazione che nel 2000 erta fermo all’8,8% ha raggiunto il 10,7%”. Tuttavia, conclude il quotidiano, “l’intifada non è l’unico fattore destabilizzante dell’economia. La recessione globale, specie quella degli Usa, ed il declino del settore dell’alta tecnologia hanno causato seri problemi, così’ come i fattori di liberalizzazione e di globalizzazione tipici dei mercati globali”.