Opinioni & Commenti

Commemorazione Defunti, la pietra ribaltata

di Giorgio Mazzanti

Capitare davanti ad una delle tombe dei primi cristiani e trovarvi scritto «Oggi è nato al cielo» genera un effetto straniante e sorprendente per noi, che passiamo tra i dolorosi annunci di morte e le infinite corsie dei nuovi cimiteri, ignorando che la parola stessa di cimitero indica uno stato di attesa: un tempo di sonno, uno spazio di dormienti.

Ignari anche del fatto che se si custodiscono i resti e le ceneri dei cari estinti non è per scaramanzia o per semplice rispetto del cadavere, ma per una inespressa speranza di ricongiungimento, per proseguire un amore o rimediare a un amore inespresso e fallito. Mossi da nostalgia o rammarico, da rimorso o segreta speranza, custodiamo la memoria di chi ci ha preceduto – per dove? –, dei trapassati – andati dove, e attraverso quale passaggio? Con in cuore anche un senso di colpa e con interrogativi lancinanti e inquietanti: ma delle vittime, delle sterminate migliaia di vittime, che ne è? Chi risarcirà l’ammasso di dolore dei perseguitati, degli oppressi, dei massacrati in massa, o tra le segrete pareti di casa? Chi ripagherà le lacrime loro e dei loro congiunti? A chi griderà il silenzio della pena, l’urlo della tortura, la ferocia delle stragi? Basterà una lapide eretta? Basterà una richiesta di perdono? Sarà sufficiente riabilitare la memoria degli estinti?

E se la morte deponesse in un nulla infinito? Se portasse alla pura e totale nichilità, alla sparizione assoluta di tutto e di tutti?

E se la vita umana – con i suoi desideri e conati di immortalità e con i suoi amori sognati eterni – fosse solo un labirinto senza uscita, senza possibilità di involo verso l’alto? E se la tomba fosse l’immagine vera dell’umana avventura?

Eppure, una pietra messa a sigillo d’una tomba è stata ribaltata, ed è divenuta pedana di Vita che più non muore. Eppure, il palo della tortura è divenuto albero di Vita, conficcato fin dentro il chiuso labirinto dell’Ade, dell’abisso di morte, per farlo esplodere di Vita offerta a tutti i dormienti (cimitero!), per tramutare in canto il pianto, per trasformare in perle le infinite lacrime versate.

Il Cristo è risorto dai morti per più non morire. Lo ha fatto in sé ma vivendolo per tutti e ponendolo per sempre. E si porta addosso le piaghe del martirio e della crocifissione per dire che ogni pena verrà trasmutata, trasumanata in motivo di gloria e in occasione di un amore ancora più fondo.

Perché il Cristo risorto è quello che, uscendo dal sepolcro, si mostra agli amici, e che cuoce del pesce sulla brace del fuoco della resurrezione dai morti, del trionfo definitivo della Vita. Perché proprio attraverso la morte Egli ha vinto la morte, proprio morendo d’amore e per amore ha stabilito nuovi ed eterni legami. La Comunione dei santi, di quelli che si lasciano raggiungere dalla luce di Dio, dal suo amore risorgente. Perché Lui è il Dio dei vivi. Perché se Cristo muore lo fa solo per portare e trovare più vita nei cuori smorti dell’uomo, per ricreare legami più forti della morte, più saldi di ogni rottura. Così il camminare tra i dormienti ci ricorda la pietra ribaltata del Cristo, ci ricorda la sua offerta di vita. Ci richiama ad un amore vero e feriale, ci riporta a un affetto autentico. Perché solo l’amore vissuto dà il sapore della vita, la gioia dei legami, e la certa speranza che nulla è perduto. Perché Lui tutto ha salvato, vincendo la morte. Il ricordo della morte e dei morti finisce per coincidere con il fare Memoria di Lui il Risorto dai morti e di quanti, tutti, muoiono e risorgono in Lui.

Questa memoria regge la pena del giorno, la fatica del vivere, e sorregge la certezza che Lui dirà ad ogni uomo: Oggi sarai con me in Paradiso; e con quelli che già Io ho portato con me e che vivono con me.

Nella luce eterna, quella che preghiamo per tutti, nella pace sconfinata in cui confidiamo per tutti.