Opinioni & Commenti

Conoscere, ovvero abbracciare la realtà

di Paolo Pecciarini

«La conoscenza è sempre un avvenimento»: è questo il titolo della 30ª edizione del «Meeting per l’amicizia tra i popoli», che si svolgerà a Rimini, dal 23 al 29 agosto prossimo (www.meetingrimini.org).

Come in ogni Meeting, ci troviamo di fronte al paradosso di un tema che fa pensare ma non è e non vuole essere l’espressione di un appuntamento riservato solo a degli intellettuali. A Rimini si ascoltano ed incontrano anche quelli, di prim’ordine e da ogni parte del mondo. «Al Meeting – osserva il giornalista irlandese John Waters – troviamo il contenuto della cultura moderna ma senza la falsa curiosità che affligge l’uomo contemporaneo. Arte, scienza, letteratura, politica, tutto ciò, ma anche qualcos’altro». Se non ci fosse un motivo più grande e profondo dei singoli ambiti di interesse come si potrebbero spiegare 700 mila presenze e 4000 volontari, di ogni età ed estrazione sociale?

Che cosa colpisce maggiormente chi si accosta a questo fatto senza pregiudizi? È molto significativo quanto ha scritto l’anno scorso sul settimanale «L’espresso» Giampaolo Pansa, pochi giorni dopo aver partecipato come protagonista dell’incontro su «La passione per la storia». «Che scoperta ho fatto al Meeting? Soprattutto tre. La prima che lì c’era un popolo, ossia una folla sterminata di gente comune, però non qualunque. Spesso di condizioni modeste e a famiglie intere. E tutti avevano nel cuore il desiderio di stare insieme, ma anche di incontrare persone diverse da loro. La seconda scoperta è stata che questa gente non ti chiedeva da dove venivi, ma voleva soltanto comprendere dove stavi andando… Era il mio percorso umano che volevano scrutare, con lo sguardo attento dell’amicizia: il mio viaggio alla ricerca della verità e di me stesso. E ogni volta mi sono sentito ascoltato e mai giudicato. Non mi era mai successo. La terza scoperta sono stati i giovani che lavorano al Meeting, dalla mattina sino a tarda sera… A Rimini ne ho incontrati un esercito. Tutti volontari, tutti venuti a loro spese…».

Questa di Pansa è una testimonianza appassionata non solo di cosa sia il Meeting ma proprio del tema dell’edizione di quest’anno. Alain Finkielkraut afferma: «Un avvenimento è qualcosa di imprevisto. È questo il metodo supremo della conoscenza. È un’irruzione del nuovo che rompe gli ingranaggi». Questa apertura come disponibilità a lasciasi sorprendere ed interpellare da ciò che accade e da chi si incontra è una sfida che ha due dimensioni. Da una parte è una sfida permanente, di fronte alla quale si trova ogni uomo nel suo rapporto con la realtà. Sempre di nuovo, ogni giorno. Perché in ognuno c’è un’ambivalenza tanto profonda quanto concretissima: sentiamo il bisogno di una novità che investa e appassioni la nostra vita; viviamo però una strana ma spesso fortissima resistenza, non appena ci capita qualcosa che non rientra nei nostri schemi e nei nostri «programmi». Acutamente nota Reinhold Niebuhr che «raramente gli uomini apprendono ciò che credono già di sapere». Questa «impasse» che, poco o tanto, c’è comunque in ciascuno di noi, è descritta in maniera mirabile dal Manzoni ne «I Promessi Sposi» attraverso la figura di donna Prassede: «…le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c’era di reale, o di vederci ciò che non c’era…». Oggi, questo limite ed errore radicale nella capacità di conoscere, è aggravato dal vivere in una cultura dominante che ha ridotto e spesso stravolto il nostro sguardo e rapporto con persone e cose. «Ciò che è in crisi – denuncia María Zambrano – è proprio il nesso misterioso che unisce il nostro essere con la realtà, che è così profondo e fondamentale da essere il nostro più intimo fondamento».

Non è un caso che Benedetto XVI, nel suo storico discorso all’Università di Ratisbona nel settembre del 2006, abbia richiamato tutti sulla necessità di «un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa». Come diventa possibile questo «allargamento»? Che cosa permette alla nostra intelligenza e al nostro cuore di aprirsi in mezzo a tutte le vicende dell’esistenza e del mondo? Non basta «qualcosa», occorre imbattersi in «qualcuno»: un testimone di un’umanità diversa che mentre colpisce la nostra vita la coinvolge e la spalanca ad una novità. Non occorre innanzitutto che questo «testimone» abbia chissà quali doti eccezionali: l’eccezionalità è tutta nel proprio amore alla verità, vissuto in modo semplice ma reale. Ed allora lo stupore e la gratitudine sono le prime espressioni, come diceva la Zambrano, di «quel qualcosa che muove e genera la conoscenza: l’amore». Graziano Grazzini, nella raccolta delle sue lettere «Sto registrando tutto per l’eternità», ne offre un esempio toccante quando ricorda il suo allenatore di calcio: «Era come se continuasse ad allenarci anche quando ci si trovava a conversare al bar o ai giardini… Eravamo raggiunti nel profondo non da discorsi, ma dall’aver di fronte un uomo vero. E la voglia di assomigliarli scattava immediata. E, quasi senza accorgersene, siamo diventati uomini imparando in uno spogliatoio a reagire alle sconfitte e a non inorgoglirsi delle vittorie».

Benedetto XVI, nella «Caritas in Veritate», afferma: «La verità è “logos” che crea “diá-logos” e quindi comunicazione e comunione. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell’amore». Questa è la sfida per tutti noi. Anche attraverso il Meeting di quest’anno.