Opinioni & Commenti

Cristiani in politica, liberi ma non dispersi

di Angelo Passaleva

Sullo sfondo delle ultime encicliche sociali e del documento conclusivo della Settimana sociale di Reggio Calabria, in un clima di fiducia reciproca, voglia di fare e tanto entusiasmo, Verona ha ospitato, dal 16 al 18 settembre, il primo Festival della Dottrina sociale della Chiesa.

La proposta è nata spontaneamente, potremmo dire «dal basso», per iniziativa di vari gruppi che hanno in comune la passione per i temi della Dottrina sociale (la Fondazione Toniolo di Verona, il Collegamento sociale cristiano, il Movimento degli studenti cattolici, il Movimento nazionale giovani Ucid, la rivista «La Società», i Gruppi Dottrina sociale della Chiesa, la Fondazione Segni Nuovi) e che si propongono di far conoscere anche ai cittadini credenti o non credenti, i valori in essa contenuti. La Dottrina sociale non è il frutto di una elaborazione meramente culturale o teorica iniziata alla fine dell’Ottocento. Non è una ideologia: è piuttosto il frutto di esperienze concrete e riflessioni maturate nei secoli.

Con l’Incarnazione è stata proclamata in modo definitivo e irrevocabile la dignità e la sacralità di ogni vita umana e da questa consapevolezza derivano i principi fondamentali della sociologia cattolica. La Chiesa (laici, presbiteri e vescovi) come comunità di credenti in Cristo ed «esperta in umanità», ha dunque titolo ad essere «madre e maestra» nel guidare l’umanità nella via della salvezza totale dell’uomo, materiale e spirituale.

A Verona, fin dalle prime battute del «festival», è stato osservato che l’impegno sociale e politico dei cattolici non può prescindere da una profonda formazione spirituale e morale. Non si è credibili se non si è coerenti. Fra i tanti presenti nella grande sala del Centro congressi (moltissimi i giovani), si sentiva forte il bisogno di avere persone credibili nel mondo della politica, dell’economia, della finanza, delle imprese. È stato osservato, comunque, che tutta la società nel suo insieme ha bisogno di un forte supplemento di riferimenti valoriali e spirituali. È necessario ad esempio, come osservava Mauro Magatti – sociologo della Cattolica di Milano – far evolvere l’idea di libertà dalla forma cosiddetta «adolescenziale» (individualista ed egoistica) verso quella «generativa» o post adolescenziale, che si caratterizza per la capacità di spendersi per il prossimo. Un esempio tipico è quello del volontariato o della dedizione dei genitori verso i figli.

È stato giustamente osservato che il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa non può essere parziale: non si possono cioè applicare alcuni principi che tornano più comodi o consoni con una determinata impostazione del pensiero politico o economico trascurandone altri magari più scomodi o non coerenti con la interpretazione che vede nella politica una mera attività finalizzata alla conquista o al mantenimento del potere attraverso l’ottenimento del consenso. I cattolici hanno il diritto-dovere di essere presenti sulla scena sociale e politica del Paese, pur con tutte le difficoltà derivanti dalla necessità di trovare punti di mediazione alti con chi ha impostazioni culturali diverse. Occorre tener presente, come ha osservato il vescovo di Prato, Gastone Simoni, nel corso della sua apprezzatissima omelia durante la Messa nella giornata inaugurale del «festival», che i cosiddetti «valori non negoziabili» sono certamente quelli inerenti la tutela della vita umana in ogni suo momento, dal concepimento fino alla morte naturale, della famiglia fondata sul matrimonio, della libertà di insegnamento, ma anche altri che da questi derivano come la lotta alla disoccupazione, specialmente quella giovanile, l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati, l’opposizione ad ogni tipo di guerra, la moralizzazione dell’economia e della finanza. I laici impegnati nel sociale e in politica, ha ricordato Simoni, pur nella «libertà dei figli», devono trovare le strade più consone a rendere visibile ed efficace la loro presenza nella società. «Liberi ma non dispersi», valutando tutte le modalità del loro apporto per la costruzione di una società più giusta e non trascurando tutte le opportunità di «denuncia» unitaria, chiara, forte e credibile contro le distorsioni nel modo di fare politica, non escludendo anche la possibilità di nuove aggregazioni, senza ritorno a modelli ormai superati dal tempo.

Il motivo conduttore di tutto il convegno, frutto di riflessioni condivise dai vari gruppi di Dottrina sociale, è stato quello dell’economia, partendo dal presupposto che in questo settore c’è bisogno di un di più di valori etici. Da tutti gli interventi, partendo dalla prolusione introduttiva tenuta di Vittorio Possenti, docente di Filosofia politica all’ Università Ca Foscari di Venezia, è venuta una forte critica alle attuali distorsioni nel mondo della finanza. È stata denunciata a chiare lettere la speculazione finanziaria, fondata sui giochi di mercato, che genera ricchezza per alcuni gettando nella povertà altri, senza produrre beni o lavoro. Il denaro non può generare altro denaro, è immorale. Una sana finanza non può essere guidata dalla cupidigia del guadagno, ma deve essere finalizzata al sostegno dell’impresa e, più in generale, dell’economia, pur con il giusto interesse. Altrimenti diventa usura, già condannata da secoli nella tradizione della Chiesa.

Anche il mondo dell’impresa deve ritrovare un nuovo modo di essere. Intervenendo su questo tema tutti i relatori hanno richiamato i concetti espressi nella ultima enciclica sociale di Benedetti XVI, la «Caritas in Veritate», ricordando che al concetto di economia di scambio di equivalenti (io ti fornisco una cosa e tu me ne dai un’altra di valore corrispondente) dovrebbe essere sostituito quello dell’economia del dono (non ti dò l’equivalente, ma qualche cosa in più in un concetto di solidarietà o di cooperazione). Un’icona di questo modo di agire la potremmo trovare nella parabola del padrone della vigna, che abbiamo ascoltato nella lettura della parola di domenica scorsa. L’insegnamento di Gesù nel Vangelo di Matteo ha certamente un valore spirituale, ma potremmo adattarla anche alla pratica imprenditoriale dei nostri giorni. Un imprenditore agricolo chiama a giornata un gruppo di braccianti (succede anche ai nostri giorni in molti Paesi del terzo mondo, ma anche in Italia!). Si accorge che la mano d’opera è insufficiente e allora aggiunge altri operai durante la stessa giornata, anche perché altrimenti il prodotto si potrebbe deteriorare. Nel rispetto della logica dell’economia di scambio di equivalenti dovrebbe dare a ciascuno secondo le ore lavorate. Invece dà a tutti la stessa paga. Quelli chiamati in tempi successivi, in effetti, erano disoccupati non per colpa loro, ma perché nessuno li aveva chiamati a lavorare e ciascuno con una famiglia da mantenere. Il padrone si fa carico di questo problema sociale e, rinunciando ad una parte del proprio guadagno (generosità o amore del prossimo, come volete, al posto della cupidigia), si fa carico di questo problema sociale. Economia del dono che si rende responsabile anche dei disagi, ma contemporaneamente crea coesione e progresso etico.

Accanto ai numerosi temi sviluppati nel corso del «festiva», si sono svolte attività di svago e culturali nelle vie e piazze di Verona, proprio per dare il segno che la Dottrina sociale della Chiesa deve uscire dal chiuso dei palazzi, dei bellissimi documenti fine a se stessi o delle buone intenzioni, per trasformarsi in riferimento concreto per la vita diogni giorno e di ogni cittadino, credente o non credente. Vi sono state esibizioni di artisti circensi di strada e di circo, mostre fotografiche, un concerto in Duomo con la partecipazione di Katia Ricciarelli e della Schola Cantorum, una corsa podistica.

Il «festival» si è concluso con una lettura magistrale, molto apprezzata, del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Santa Sede.