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Cunego in rosa, il ciclismo ancora no

DI ANTONIO CECCONIHa il guizzo e gli occhi furbi di Saronni, impugna il manubrio in salita come Pantani e quanto a voglia di vincere sembra Eddy Merckx. Ha cominciato a pedalare abbastanza da grande come Moser, dopo aver lavorato un’estate da panettiere per pagarsi la prima bicicletta da corsa. Ma per illustrare l’ultimo vincitore del Giro d’Italia, il paragone più bello e perfino ingombrante è con Fausto Coppi: l’indimenticabile campionissimo vestì la maglia rosa nel Giro del 1940 che aveva iniziato come gregario di Gino Bartali, da tutti pronosticato come vincitore; così Damiano Cunego ha trionfato scalzando dal podio il suo capitano Simoni.

Coppi, anche in questo campione insuperabile, fu e resta il più giovane vincitore del Giro, a poco più di vent’anni; Cunego s’inserisce ai primi posti nella classifica dei vincitori in erba, avendone un po’ più di ventidue. Il ragazzino di Cerro Veronese ha davvero bruciato le tappe, aggiudicandosene quattro oltre alla maglia rosa finale. La sua corsa è stata un crescendo inarrestabile: subito alla ribalta nella tappa di Pontremoli, poi apripista a Simoni primo e maglia rosa sulle rampe del Corno alle Scale, ha vinto ancora in cima alla salita di Montevergine e ha fatto l’impresa più bella del Giro nella prima tappa dolomitica di Falzes, staccando tutti in salita e conquistando il simbolo rosa del primato, senza più abbandonarlo. La quarta vittoria di tappa a Bormio 2000 è stata l’inevitabile esito di un’evidente superiorità, che il giovane Damiano non ha saputo né voluto reprimere.

Questo giro 2004 potrebbe passare agli annali del ciclismo come quello in cui è sbocciato un nuovo campione. I fatti finora suffragano l’ipotesi, sommando alla corsa rosa le vittorie a ripetizione e su tutti i percorsi nelle settimane precedenti, dieci in tutto. Finora le sue prestazioni atletiche nelle categorie minori e nei primi due anni da professionista erano state amministrate con parsimonia, senza che ciò gli impedisse di diventare campione del mondo juniores. L’impressione è che, non appena al ragazzo è stato consentito (o ha deciso lui) di dare tutto quello che aveva dentro spingendo sui pedali fino al limite, questo limite era ben al di là di quello che si pensava: i campioni nascono così. In attesa delle necessarie conferme, le premesse ci sono tutte per sperare di aver trovato un degno erede dei giganti della strada.

Il trionfo di Cunego è stato peraltro accompagnato dai nove travolgenti successi in volata di Alessandro Petacchi (un vero record del ciclismo moderno) e dall’entrata in scena di un coetaneo di Cunego: Emanuele Sella, vincitore per distacco della tappa di Cesena, uno che quando la strada sale troveremo spesso pronto a dare battaglia.

Era il primo Giro senza Pantani, in molti modi al passaggio della corsa sono state ricordate le gesta del «pirata». Non è stato però il primo Giro senza doping, almeno nel senso che il sospetto uso di sostanze proibite continua ad aleggiare sul ciclismo e si è materializzato in una serie di controlli in capo ai quali, se non è stata individuata nessuna irregolarità tra gli atleti, sono invece partite denunce a carico di medici e altre persone con le mani in pasta nel ciclismo e in altri sport. Purtroppo anche nella nostra regione, con la denuncia del furto dall’ospedale di Pisa di farmaci da usare impropriamente per migliorare prestazioni atletiche. Se è vero che, sul piano penale, nessuno va ritenuto colpevole fino ad avvenuta condanna definitiva, è però assodato che vengono prodotti e commercializzati farmaci (eritropoietina, ormone della crescita ecc.) in quantità di gran lunga superiore alle prescrizioni terapeutiche connesse alle specifiche malattie. È inevitabile dedurne l’impiego per migliorare prestazioni sportive ai vari livelli, dai professionisti agli amatori. E poiché il mercato è clandestino, è fondato il sospetto di collegamenti con altri tipi di criminalità.

Ci dispiace aver concluso la bella favola rosa di Damiano Cunego con la storia di un lupo nero che si aggira attorno al recinto dello sport. Ma queste cose bisogna dirle proprio per impedire che qualcuno sciupi il sorriso di un ragazzo diventato campione.

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