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Dai tifosi fondamentalisti agli agnostici, i Mondiali visti dalla poltrona di casa

Il calcio, si sa, è una grande narrazione, una densa e mutevole metafora, un intreccio che inevitabilmente si scioglie al novantesimo, dopo i supplementari o comunque con i rigori. C’è la certezza della finale. Meglio della vita, dove certi viluppi s’aggrovigliano senza alcuna soluzione.

Come sempre, all’inizio di un romanzo, largo alle dediche.

Dedica ai tifosi fondamentalisti. A voi basta godere. Vincere sempre e comunque. Con un imbroglio? Certo. Con la corruzione? Negare sempre, anche di fronte all’evidenza più evidente. Simulazioni in area, gol in fuorigioco o con diabolici tocchi di mano? Beati i furbi. L’augurio, alla faccia vostra, è che il Mondiale in Brasile sia il più corretto di sempre. Che Eupalla – la divinità pagana evocata dal vate Gianni Brera – finalmente renda onore ai giusti, ai puri, ai sinceri. E che gli ingenui, come noi qui ora, possano trionfare.

Dedica ai patrioti saltuari. Lo spirito patriottico che spinge milioni di italiani a riversarsi nelle strade a far cagnara alla prima vittoria, fosse anche con la Costa Rica (tutt’altro che scontata, quelli corrono e menano), è friabile come un grissino e solido come un budino. Chissà quanti di quei patrioti evadono di brutto le tasse, eludono le imposte, corrompono e sono corrotti, e così facendo impoveriscono il paese, che deve tagliare il welfare, la sanità e le scuole. Non hanno capito niente di calcio. Nessuno vince da solo, l’individualismo non premia, se non sei squadra non sei niente. Eppure gli italiani sanno fare squadra, altrimenti non avrebbero vinto per quattro volte il Mondiale. È questo che fa rabbia.

Dedica ai tifosi critici. Sono felici se la loro squadra vince, ma sono felici anche e soprattutto se vedono squadre belle, dove tutti collaborano; squadre che si muovono sul campo con la stessa armonia d’una orchestra, il cui direttore se ne sta comodo in panchina a godersi pure lui lo spettacolo. Erano squadre così l’Ungheria anni 50, il Brasile del 70 e dell’82, l’Olanda anni 70, la Spagna recente. Con una differenza: sono brave e pure simpatiche se alla fine perdono, come ungheresi e olandesi; antipatichine se vincono troppo, come gli spagnoli.

Dedica agli agnostici. Chi non è tifoso, per un mese ogni quattro anni tende a fare la vittima, lamentandosi del clima di demenza collettiva e rifiutandosi di dedicare un solo minuto a ventidue «uomini in mutande che corrono dietro a un pallone», come da sempre proclamano ritenendosi originali. Avete ragione. Ma guardate l’aspetto positivo. Per un mese i cinema sono vostri; i centri commerciali, se vi tenete alla larga dai negozi di televisori, sono freschi e accoglienti, e apprezzano il vostro denaro; potete finalmente rivedervi l’opera omnia di Michelangelo Antonioni in dvd e sarete gli unici a non confonderlo con Antognoni Giancarlo, immenso capitano della Fiorentina. Il Mondiale vi dà l’occasione, ogni quattro anni, di esibirvi nei vostri commenti acidi e snob. Alla fine, 31 squadre perderanno e una sola vincerà, e non sarà l’Italia. Alla fine, perbacco, gli unici a festeggiare sarete voi, disgraziati.

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