Opinioni & Commenti

Dalla campagna sui sindaci un altro segno della politica in crisi

Non è facile ricordare, oggi, che una volta per il governo delle principali città italiane si sfidavano i nomi più pesanti degli schieramenti. O, in alternativa, nomi conosciuti che puntavano ad un ruolo nazionale. Questa campagna elettorale, che ci porterà alla tornata amministrativa di giugno, è iniziata in grande anticipo e non è ancora riuscita ad entrare nel vivo, bloccata com’è da ricorsi, litigi, rischi di scissione e amori politici finiti causa candidate in avanzato stato di gravidanza.

Anni fa il «partito dei sindaci» sembrava in grado di dimostrare una forza propositiva oltre gli schieramenti, e le assemblee dell’Anci venivano osservate con l’interesse che era stato dedicato per decenni alle assise dei partiti.

L’Italia dei sindaci non esiste più, ma a farla morire è stata, in qualche modo, la stessa cultura che l’ha generata. L’idea cioè che un primo cittadino fosse un leader nazionale in sedicesimo, con gli stessi diritti dell’omologo più importante. A partire da quello ad essere insofferente nei confronti della mediazione politica, del controllo da parte dell’assemblea (qui il consiglio comunale, là il Parlamento), del dibattito interno al governo, o alla giunta. Il culmine di questo fenomeno fu quando Veltroni, nel 2001, invece di affrontare da segretario dei Ds la campagna ampiamente compromessa contro un Berlusconi trionfante si rifugiò nell’angolo sicuro del Campidoglio. In attesa di un autorilancio che lo avrebbe portato ad una nuova sconfitta elettorale, nel 2008.

Oggi i sindaci di ieri non hanno più a disposizione una classe dirigente a livello locale, e devono ricorrere all’improvvisazione o alla selezione di elementi che non possano dare fastidio in futuro. Un gioco che condanna le nostre metropoli ad essere amministrate dalla mediocrità. Su questo si innesta un secondo elemento, la crisi dei tre blocchi politici che si contendono la vittoria (ma a Roma tutti sperano di uscire sconfitti, visti i problemi della Capitale). Il centrosinistra deve constatare il fallimento dello strumento delle primarie: già conclamato in altre occasioni, in questa circostanza rischia di essere letale per un Pd che si presenta quasi ovunque con il fiato grosso.

Il centrodestra si dibatte come una balena spiaggiata, sfigurato dalle tensioni tra Lega e Berlusconi. Il duello non è su Roma o Torino, ma su chi sia il maschio alfa quando si andrà a votare per le politiche. I grillini hanno rimediato una gran brutta figura a Milano, mentre a Roma rischiano di vincere con una candidata le cui parole d’ordine ricordano da vicino gli slogan di Ignazio Marino di due anni fa. Il caso di Quarto poi non è un precedente rassicurante, senza considerare che una nuova Pizzarotti nella Capitale porterebbe più tensioni all’interno del movimento di quanto non abbia fatto il primo cittadino di Parma. Si sta assistendo ad un nuovo passo verso l’erosione di un sistema politico in cui il carisma, vero o presunto, ha troppo spesso supplito alla carenza di idee. In questo il sindaco somiglia al presidente del Consiglio: non può andare avanti troppo tempo a forza di battute.

Le città italiane richiedono cura, e se abbandonate tutti ne soffrono. Ne soffre il Paese.