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Dalle urne esce un sistema politico in affanno

Sempre meno gente va a votare e il sistema politico è in evidente affanno: non è vero che una democrazia con il 60% di affluenza alle urne sia una democrazia matura. È semmai una democrazia stanca che deve essere rianimata. Difficile che possano farlo le formazioni che hanno dominato gli ultimi lustri: mostrano di aver smarrito la loro forza attrattiva. Ma anche il terzo polo emergente, che pur riesce ad avere delle innegabili affermazioni, non sembra essere la linfa vitale di cui c’è bisogno. Il primo turno delle amministrative ci consegna innanzitutto un Pd in declino.

Non è una debacle ma i segnali che arrivano dalle urne sono preoccupanti, soprattutto se messi in fila con l’andamento registrato nelle tornate degli ultimi due anni. Iniziando dal 41% delle europee, il partito di maggioranza relativa ha avuto un’affermazione poco entusiasmante alle regionali dell’Emilia Romagna, un risultato a dir poco misto nelle regionali della primavera successiva, ed oggi non arriva nemmeno al ballottaggio a Napoli. A Roma ce la fa solo perché il centrodestra si è presentato diviso; a Milano era partito in largo vantaggio e ha chiuso con una pericolosissima parità; a Torino il sindaco uscente ha molti punti sulla candidata grillina, ma non la sicurezza della riconferma.

Il presidente del Consiglio ha sbagliato campagna elettorale, puntando tutto sul referendum di ottobre. Essendo egli anche il segretario del Pd, dovrebbe mettere le mani alla macchina del partito, il cui motore batte in testa. In quanto premier, non gli sfuggirà che adesso le prospettive referendarie sono un po’ meno solide di una settimana fa. Di qui a quattro mesi può succedere di tutto, certo, ma oggi c’è meno fulgore di ieri. Nel frattempo aiuterebbe concentrarsi sull’economia e sui disagi sociali.

Il centrodestra è nel pieno della crisi di una difficile successione dinastica. Berlusconi ha puntato su due candidati sbagliati a Roma, ed è un errore non da poco. I partner della coalizione ora non saranno magnanimi con lui, soprattutto se Parisi dovesse vincere a Milano tra due settimane. Ma al momento Fi, Lega e Fratelli d’Italia sono tre minoranze che si dilaniano nella speranza di fagocitare l’una l’altra e divenire così una forza politica del 35%. Una speranza che potrebbe facilmente rivelarsi illusoria.

Il Movimento 5 stelle sorride a Roma e a Torino. Nella Capitale la vittoria è a un passo, in Piemonte le chance sono migliori di quanto non appaiano: in entrambi i casi il Pd ha già fatto il pieno di voti, mentre i grillini possono ancora contare su un cospicuo aiuto da parte degli elettori del centrodestra e della sinistra che non ama Renzi. È già avvenuto a Parma, del resto. Ma altrove il Movimento è bloccato su posizioni di rincalzo, e spicca il risultato sostanzialmente scarso a Milano, in casa di Casaleggio. La piena maturazione politica deve ancora arrivare, se mai arriverà.

A riprova che il sistema è alla ricerca di nuove soluzioni va citato infine il caso di Mario Adinolfi e del Popolo delle famiglie, formazione nata per sfruttare l’ultimo Family day in occasione della legge sulle unioni civili. Risultati da totale irrilevanza. I cattolici sono una forza enorme nella società italiana, ed è giusto che vogliano occuparsi di politica per il bene comune. Ma o saranno in grado di fare una proposta politica programmatica seria e che riguardi tutti i bisogni del Paese, o si autocondanneranno al ghetto e all’altrui indifferenza. Certi modelli in voga per vent’anni non funzionano più, se mai hanno funzionato.