Opinioni & Commenti

Denatalità, la soluzione si cerchi nelle cause

DI EMANUELE ROSSI

L’allarme lanciato dall’Irpet sulla scarsa natalità in Toscana, ripreso dal presidente della Regione Claudio Martini, pone una serie di interrogativi, che riguardano almeno due livelli di analisi: quello delle cause di tale fenomeno e quello delle possibili soluzioni per porvi rimedio. Ma ancor prima è necessario rispondere ad un interrogativo di fondo: si vuole realmente porvi rimedio? E se sì, in base a quali ragioni?

Nel nostro Paese abbiamo vissuto un’epoca nella quale l’incremento demografico era una scelta di politica nazionale, fortemente incentivata e premiata: ma ciò era finalizzato ad assicurare «la continuità e la forza numerica della stirpe», a sua volta necessaria per garantire «la diffusione della propria lingua e civiltà». Così da ritenere la denatalità «l’avviamento alla decadenza per una nazione».

Credo che tali motivazioni, travolte con la caduta del fascismo e mi auguro da nessuno mai più riproposte, abbiano condizionato l’atteggiamento tenuto nel corso della storia repubblicana dalle istituzioni pubbliche nei confronti del problema, e impongano oggi, se si vuole pensare a politiche di incentivazione, una rimessa a fuoco delle motivazioni. Perché si può affermare, oggi, che la natalità sia un valore, tale da esser incentivato? Credo che le motivazioni siano in certa misura condivise da tutti, ed attengano ad uno sviluppo della comunità umana equilibrata in tutte le sue componenti, dove ciascuna età sia adeguatamente rappresentata e possa dare il proprio apporto allo sviluppo e alla crescita della società.

A ciò si aggiungono considerazioni di altro genere (sia sul piano economico, per bilanciare il crescente invecchiamento della popolazione, che su quello dell’equilibrio familiare e psicologico degli adulti, ecc.), che tuttavia ruotano tutte intorno all’obiettivo complessivo sopra indicato.

segue a pagina 2In tale contesto, le ragioni a favore di politiche di favore nei confronti della natalità prescindono da appartenenze ideologiche o confessionali, e riguardano tutti coloro che hanno a cuore uno sviluppo sociale armonico: opportuno è pertanto il richiamo e l’apertura del presidente Martini, e su di essa credo che sia necessaria ed auspicabile un’ampia convergenza tra le forze politiche e sociali. Il problema tuttavia diventa più complesso se si passa dal piano delle motivazioni a quello delle cause – e perciò dei possibili rimedi – al dato di fatto che emerge dalla ricerca sociologica.

La causa che è stata segnalata dalla stessa ricerca è senz’altro condivisibile: non vi è dubbio che l’alta qualità della vita ed il connesso «narcisismo» di cui sarebbe affetta la popolazione toscana condizionano le scelte dei potenziali genitori: non a caso le ricerche demografiche sottolineano come storicamente la flessione del tasso di natalità prese l’avvio fra i ceti professionalmente più elevati, stabilendo uno stretto rapporto inverso tra fecondità e condizione socio-economica.

Ma questa, mi pare, è soltanto una parte della verità, come ancora le ricerche dimostrano. L’aumento dell’età media in cui ci si sposa; l’esigenza (o la volontà) di lavorare per entrambi i coniugi; il sempre maggiore impegno economico che i figli richiedono; lo scarso sostegno alle famiglie da parte della società, soprattutto in termini di servizi; la crescente tendenza a rendere flessibile il lavoro, sono alcune soltanto delle (altre) cause che incidono in misura a mio parere pesante sulle scelte di natalità della nostra società. In particolare l’ultima mi preme sottolineare: mi pare infatti che si ponga poca attenzione, in chi si dichiara favorevole alla tutela della famiglia e allo sviluppo della natalità, alle conseguenze negative che le nuove regole del mercato del lavoro producono su questi temi. Non credo che sia possibile, in altri termini, dichiarare nello stesso tempo la propria fiducia verso un modello di liberalismo economico che pone la flessibilità del lavoro come un proprio presupposto, e insieme farsi paladini dell’apporto della famiglia nella società e della necessità di incrementare il numero delle nascite.

Se questo è vero, diventa complesso ricercare soluzioni adeguate da parte delle istituzioni regionali per invertire la rotta, come si propone di fare il presidente Martini. Vanno benissimo, infatti, «più servizi, più asili, più scuole, più assegni di sostegno, più aiuti alle madri che lavorano», come ha dichiarato Martini. Ma tutte queste misure ben difficilmente potranno creare le condizioni perché dei giovani decidano di sposarsi prima di quanto oggi avvenga, perché possano avere un lavoro sufficientemente stabile e tale da consentire loro di scommettere sul futuro con una certa dose di serenità, come è necessario quando si vuole puntare ad una paternità e maternità responsabili. Senza contare infine che il superamento del «narcisismo» non si ottiene con più assegni o più servizi, ma con un’opera complessiva che tenda a far vivere la dimensione della libertà come possibilità non di fare ciò che si vuole, ma come capacità di realizzare gli obiettivi che ciascuno pone alla propria vita.

La strada è assai lunga, e la rotta indicata dal presidente Martini è nella direzione giusta: basta non ritenere che quelle misure siano sufficienti a raggiungere l’obiettivo.

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