Opinioni & Commenti

Don Milani, uno con le carte in regola verso Dio

di Antonio Lovascio

A oltre 40 anni dalla morte (1967) si devono ancora fare i conti con don Lorenzo Milani, il quale resta un prete «scomodo» anche adesso che sta in Paradiso. Nella Chiesa i grandi personaggi lasciano spesso eredità contese. Questo a volte, in passato, è accaduto pure per il priore di Barbiana, soprattutto da parte di chi – contrariamente a quanto lui avrebbe voluto – lo ha elevato quasi a mito, ad icona delle proprie interpretazioni troppo sottili. Su don Milani si continua a discutere. Ad ampliarne il grande profilo spirituale, ad attualizzarne l’intensa e straordinaria esperienza sacerdotale e pedagogica ispirata ai fermenti del Concilio Vaticano II, ha certamente contribuito il dibattito aperto in queste settimane sulla stampa, dopo la pubblicazione dell’interessante libro di Marcello Mancini e Giovanni Pallanti, «La preghiera spezzata», che ben inquadra la storia ecclesiale fiorentina della seconda metà del Novecento.

Un confronto positivo e costruttivo, quello tra opinionisti cattolici, perché finalmente si è messa da parte l’ormai logora dicotomia destra-sinistra e si è restituita a don Lorenzo la sua reale dimensione: lui era spietatamente evangelico. Non era e non è classificabile con le schematiche categorie assimilabili alla politica. Non ho fatto in tempo a conoscerlo personalmente, ma so che era un uomo di una coerenza estrema con se stesso. Rigido e sincero: quando vedeva attorno a sé ipocrisia diventava tagliente nei suoi giudizi, brusco nell’attaccare le situazioni di compromesso.

Non sono però d’accordo con Mario Lancisi, quando – intervenendo sul «Corriere Fiorentino» – prospetta un «tentativo revisionista del rapporto tra la Curia fiorentina e don Milani». Sono convinto, infatti, che la valutazione storica della Chiesa di San Zanobi sia sempre stata trasparente. Soprattutto negli ultimi 35 anni non ha mai sorvolato sui contrasti avuti dal parroco di Barbiana con il Vescovo e con altri preti. Prima di tutto ne è una conferma (e ciò mi conforta) quanto allora scrisse l’amico e maestro di giornalismo padre Reginaldo Santilli, revisore ecclesiastico di «Esperienze pastorali», a seguito delle polemiche scatenate dall’imprimatur del cardinale Elia Dalla Costa (29 luglio 1957): «Sarebbe difficile e penoso fare la storia di quel libro accettato da alcuni come richiamo di rinnovamento dei nostri metodi pastorali; rifiutato e criticato da altri per i quali rappresentava, e rappresenta, “la presunzione di un uomo, sia pure sacerdote, di volere impartire lezioni alla Chiesa”. Io non intendo – proseguiva il frate domenicano – legarmi a nessuno dei suddetti giudizi, ma solo far conoscere, a chi ancora non lo sapesse, che lo scrittore di quel libro non è un “ribelle” e molto meno un “rivoluzionario mancato” È un “figlio obbediente della Chiesa”, con tutte le carte in regola verso Dio e la sua coscienza».

Successivamente padre Santilli pubblicò le due lettere ricevute da don Milani nell’ottobre del 58, due mesi prima che «Esperienze pastorali» fosse ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio.

Dopo Dalla Costa e Florit, nella Chiesa fiorentina la riflessione su don Milani proseguì con il cardinal Giovanni Benelli (sempre sulla spinta di padre Santilli, direttore dell’Osservatore Toscano e teologo della Curia) e con il suo successore, l’arcivescovo Silvano Piovanelli, mugellano di Ronta, compagno di seminario e amico di don Milani. «Ci ha insegnato la radicalità della fede. Noi gli abbiamo sempre voluto bene – ha dichiarato al momento di lasciare la guida della Diocesi – ma non l’abbiamo capito subito. Don Lorenzo era “dieci anni in anticipo sui tempi”, come diceva lui stesso. E una sua certa durezza nei gesti e nelle parole ha reso difficile ad alcuni penetrare nel suo cuore».

Allora non era facile capire don Milani, ma con il tempo si sono chiarite tante cose, perfino alcune strumentalizzazioni del suo pensiero e della sua linea pastorale. E oggi siamo tutti concordi nel sottolineare il valore evangelico della sua testimonianza e del suo radicamento nella Chiesa fiorentina. Così, dopo Piovanelli, anche il cardinale Antonelli – proprio davanti alla chiesetta di Barbiana – ha riconosciuto pubblicamente «la grandezza ed autenticità di questo prete»: «Un diamante trasparente e duro che doveva ferirsi e ferire, ma solo per amore di Dio, dei poveri e della Chiesa». E nel quarantaduesimo anniversario della morte, sempre a Barbiana, l’ultimo omaggio del nuovo arcivescovo Giuseppe Betori: « È mio dovere riprendere in mano la conoscenza di questo nostro sacerdote, patrimonio prezioso, figura di rilievo della storia del nostro tempo, importante anche per la Chiesa, ben oltre i confini della nostra stessa Diocesi, certo che egli ha da dirci ancora tanto». Ed a chiudere le attestazioni dell’episcopato toscano, citerei le parole di un altro mugellano-doc, monsignor Gualtiero Bassetti, che da Arezzo è da poco passato alla guida della diocesi di Perugia: «L’avevo conosciuto da seminarista, ed è morto un anno dopo che sono stato ordinato sacerdote. Amava la verità ed in nome di essa predicava il Vangelo. E come forma di contestazione nei confronti di un mondo che rinnegava Cristo, l’autore di «Esperienze pastorali» e «Lettera a una professoressa» non abbandonò la tonaca per andare in clergyman. Per parlare in chiesa saliva sul pulpito. Sembrano piccoli particolari, ma sono significativi. Era obbediente, poi magari criticava il vescovo perché diceva che non gli aveva permesso di andare alla casa del popolo di Vicchio quando i carri amati russi invasero l’Ungheria. Questo è don Milani: esaltava il primato della coscienza – che è un principio riaffermato dal Concilio – e della coerenza. Quello che diceva lo faceva; noi cercavamo di stare alla larga perché ogni parola era una frustata».

Anche la pubblicistica ecclesiale in questi anni non può essere tacciata di «revisionismo» per quanto ha sfornato sulla figura di don Milani. Tra i tanti contributi di approfondimento basterebbe ricordare il ritratto autentico e sotto certi aspetti sorprendente scritto, nella sua galleria di personaggi «Indimenticabili» (2007), da don Averardo Dini, per 18 anni parroco a Barberino, prima di andare a San Piero in Palco e di presiedere la Commissione diocesana per le Comunicazioni sociali che ha fondato «Toscana Oggi».

Per dirla con il suo allievo prediletto, Michele Gesualdi, il don Lorenzo da valorizzare è comunque il prete con cui la Chiesa è tornata – tra quei semplici ma devoti «montanari» di Barbiana incontrati da monsignor Betori il 26 giugno 2009 – al suo ruolo originario. «Quello della scelta preferenziale degli ultimi».