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Eletti i presidenti di Camera e Senato resta il nodo del governo

Due figure di grande spessore e prestigio che, per quello che hanno fatto finora, godono della fiducia di gran parte del Paese. Nei loro discorsi di insediamento hanno spaziato su tanti temi, dimostrando sensibilità per la situazione di disagio sociale che la recessione economica sta provocando e di aver recepito la richiesta di cambiamento per l’intera classe politica che giunge dal Paese. Eppure non c’è molto da esultare, perché l’Italia ha bisogno al più presto di un governo stabile e autorevole capace di prendere decisioni coraggiose. E l’elezione di Laura Boldrini e Pietro Grasso, per come è avvenuta, non presagisce niente di buono.

È vero. La prima volta che Pierluigi Bersani ha fatto una mossa alla Matteo Renzi ha sparigliato le carte e messo all’angolo tutte le altre forze. Dal punto di vista tattico è senz’altro una vittoria. Il Popolo della libertà prima ha detto di non essere interessato a queste cariche, poi si è ostinato nel portare avanti al Senato l’ex presidente, Renato Schifani. Un politico apprezzato per come ha svolto il suo ruolo nella passata legislatura, ma pur sempre il simbolo di una chiara continuità con la vecchia politica. Scelta civica ha imboccato la strada senza uscita di una candidatura Monti e poi si è rifugiata nella scheda bianca. Il M5S ha mostrato la sua vera identità. Almeno quella teorizzata dai padri-padroni Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: non un movimento riformista, capace di far compiere un passo in avanti al Parlamento, ma una forza rivoluzionaria antisistema, che ha il solo scopo di far esplodere tutte le contraddizioni della democrazia rappresentativa per traghettare il Paese verso una forma di democrazia diretta, basata sulla «rete».

La mossa di Bersani (con la complicità involontaria del Pdl) ha creato qualche problema alla truppa di Beppe Grillo. Ma il mal di pancia sembra già superato e il segretario del Pd ha forse posto la parola fine alle sue ambizioni di guidare il nuovo governo. Vista l’impraticabilità di un accordo con i «Cinque stelle» e la volontà di non trattare con il Pdl, Bersani non ha i numeri per ottenere la fiducia al Senato. Forse lui pensa di ottenerla alla Camera su un programma di pochi punti e una compagine di volti nuovi che strizzi l’occhio ai «Cinque stelle» e poi presentarsi a Palazzo Madama per mettere i senatori di fronte alle loro responsabilità. Ma non credo che Giorgio Napolitano lo possa seguire su questa strada pericolosa.

Forse prima andrà sbrogliata la corsa al Quirinale. Il Pdl, sbagliando ancora un’altra mossa, l’ha rivendicato per sé promettendo in cambio un possibile sostegno al governo Bersani. Un modo per farsi dire di «no» subito. Ma anche Bersani sa che se per le Camere ha potuto far da solo, non può pensare di essere autonomo anche nell’elezione del nuovo Capo dello Stato.