Opinioni & Commenti

Federalismo, avanti piano tra dubbi e divisioni

DI Emanuele RossiAll’interno del progetto di riforma costituzionale presentato dal Governo ed attualmente all’esame del Parlamento, alcune disposizioni riguardano la c.d. forma di Stato, e più in particolare l’assetto federalista della nostra Repubblica, già oggetto di riforma ad opera della legge costituzionale n. 3 del 2001.

Soffermiamoci su queste disposizioni, offrendo alcuni elementi che aiutino ciascuno a comprendere il disegno riformatorio in atto e a formarsi una personale opinione.

Un primo aspetto riguarda la riforma del Senato della Repubblica, sia per quanto attiene alla composizione che alle funzioni ad esso assegnate. Occorre ricordare al riguardo che la mancata trasformazione del Senato nella “Camera delle Regioni” era stata individuata come uno dei limiti più marcati del “federalismo monco” introdotto dalla riforma del 2001.

La proposta in esame cerca di rimediare a ciò con una proposta che in verità suscita alcune perplessità. Stando alla formulazione in discussione, il “Senato federale” verrebbe eletto “a suffragio universale e diretto su base regionale”, precisandosi che “l’elezione del Senato federale della Repubblica è disciplinata con legge dello Stato, che garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori”.

Il problema è dato dal fatto che nei sistemi federali il Senato è espressione degli Stati (o regioni che siano) membri, e ciò si realizza per lo più mediante un’elezione di secondo grado: in sostanza, sono gli Stati (e per lo più gli esecutivi) ad eleggere i propri rappresentanti. L’elezione diretta da parte del corpo elettorale, ancorché con meccanismi che “garantiscano la rappresentanza territoriale”, non sembra idonea a cambiare un sistema quale quello italiano fortemente incentrato sulla rappresentanza politica (ed in particolare partitica), e che di fatto ha reso vana la previsione costituzionale vigente fin dal 1948 in base alla quale “il Senato è eletto a base regionale”.

Per ovviare a questo rischio, si è approvato un emendamento in base al quale le elezioni del Senato federale (peraltro, a partire dal 2011) devono essere indette contestualmente a quelle di tutti i Consigli regionali, così da garantire una maggiore connessione tra senatori e regioni di provenienza.

Quanto alle funzioni, il ruolo del Senato verrebbe ridotto sul versante del suo coinvolgimento nel procedimento legislativo mentre verrebbe privato del rapporto di fiducia nei confronti del Governo (che sarebbe riservato in via esclusiva alla Camera).

La partecipazione del Senato al procedimento legislativo sarebbe soltanto eventuale e su richiesta dello stesso Senato in una serie di materie (quelle di competenza esclusiva dello Stato); mentre sarebbe di sua competenza l’approvazione delle leggi contenenti principi fondamentali per la legislazione regionale (con possibilità di “richiamo” questa volta da parte della Camera). In altre materie ancora la funzione legislativa sarebbe esercitata congiuntamente dalla due Camere.

Come può facilmente intuirsi, questa tripartizione potrebbe essere fonte di grosse difficoltà interpretative e di conflitti tra i due rami del Parlamento, in quanto la materia sulla quale insiste una determinata proposta di legge non è sempre di facile identificazione, ad esempio nell’ipotesi in cui essa contenga disposizioni riguardanti più piani.

Quanto alle competenze di Stato e Regioni, la proposta governativa intende modificare l’art. 117 Cost., già oggetto di riforma nel 2001.

In base alla proposta governativa, si specificherebbero alcune materie nelle quali alle Regioni verrebbe attribuita la potestà legislativa esclusiva: sono l’assistenza e l’organizzazione sanitaria; l’organizzazione scolastica e la gestione degli istituti scolastici e di formazione, compresa la definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione; la polizia locale nonché “ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Si tratta, come si ricorderà, delle materie che già il Governo aveva proposto in un altro disegno di legge (noto nel linguaggio giornalistico come “devolution”), e sulle quali si era aperto un confronto assai aspro nel Paese sulle possibili conseguenze connesse alla sua introduzione.

Un po’ in controtendenza rispetto a questo allargamento di competenze regionali (peraltro per alcuni soltanto apparente), sta la reintroduzione del limite dell’”interesse nazionale” per la legislazione regionale: in sostanza, quando il Governo ritenga che una legge regionale pregiudichi l’interesse nazionale della Repubblica può sottoporre la questione al Senato federale della Repubblica”, il quale può rinviare la legge alla Regione e successivamente proporre al Presidente della Repubblica, nel caso in cui la regione non si sia adeguata, l’annullamento della legge stessa.

Questo tipo di limite, occorre ricordare, non riguarda la violazione di norme (costituzionali o di altra natura), ma attiene ad un concetto del tutto indefinito e perciò rimesso alla discrezionalità del continuum Governo – Senato: lo stesso coinvolgimento del Presidente della Repubblica in questo contesto appare assai rischioso, giacché o il suo è un atto dovuto (ed allora tanto varrebbe non coinvolgerlo), ovvero è un atto discrezionale, ed allora sarebbe ancora peggio, in quanto il Capo dello Stato si troverebbe nella difficile situazione di dare ragione o al Senato o alla Regione.

Completa il quadro la proposta di riforma della composizione della Corte costituzionale, che verrebbe portata a diciannove giudici (anziché i quindici attuali): e mentre cinque giudici continuerebbero ad essere nominati dal Presidente della Repubblica e cinque dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative, gli altri nove sarebbero eletti tre dalla Camera dei deputati e sei dal Senato federale della Repubblica. Dubito che con tale modifica si voglia perseguire il risultato di introdurre dei giudici “regionali”: ma è evidente che per tale via aumenterebbe la componente di provenienza politica (che passerebbe da cinque a nove).

L’andamento dei lavori parlamentari e la difficoltà di trovare posizioni condivise, anche all’interno della maggioranza, inducono a ritenere che tale proposta dovrà subire molte modifiche per giungere a definitiva approvazione: e anche tale esito finale è al momento assai incerto. Personalmente non ritengo che questa sarebbe la prospettiva peggiore.

(versione integrale)