Cultura & Società

Fra Benigni e Dante un confronto vivace e leale

Saranno dodici le serate dedicate al poema dantesco, tutte incentrate su alcuni Canti dell’Inferno, dall’XI al XXII. «Ho un sogno: fare tutta la Divina Commedia, commentarla e leggerla in pubblico, come mai è stato fatto»; in realtà questo «sogno» si è già parzialmente concretizzato in serate di grande successo, che hanno avuto il merito di presentare il capolavoro dantesco al di fuori dalle aule scolastiche o dai circoli intellettuali in cui era rimasto per troppo tempo confinato, facendone vedere al grande pubblico la straordinaria attualità e portata educativa.

«Si vede che ama quel che legge»: questo giudizio espresso una volta da Mario Luzi, a proposito della performance dantesca dell’artista toscano, spiega bene il forte impatto emotivo che la lettura di Benigni provoca nei numerosi ascoltatori, la cui ragione profonda sta nelle stesse parole dette da quest’ultimo durante una delle sue serate: «Si ama Dante proprio perché parla di noi a ognuno di noi (…) ci fa andare profondamente dentro di noi a scoprire chi siamo»; «E il libro che più d’ogni altro ci fa sentire degni di vivere la vita, proprio per l’amore… Ci sono tutte le cose di teologia ed è il libro del desiderio perché porta verso la realizzazione di noi stessi nel congiungimento dell’amore, che è proprio la visione di Dio».

È il libro del desiderio, la Divina Commedia: e chi desidera non sta fermo, si muove, si mette in cammino. Ecco perché essa racconta di «un viaggio», un viaggio alla scoperta di sé, del proprio volto, iniziato per Dante in una selva oscura e che ha come esito finale quel ben ch’io vi trovai, che altro non è che l’Amor che move il sole e l’altre stelle. Un viaggio alla scoperta di noi stessi, di quella «grandezza incommensurabile dell’amore di Dio» in cui «è scritto che noi troveremo il nostro viso»; per questo, ripete spesso il nostro artista durante le sue rappresentazioni, non è sufficiente «ascoltare» i versi danteschi per comprenderli adeguatamente, ma occorre lasciarsi «provocare» da essi: «La poesia alta non è solo nella penna, nella mano e nella testa di chi scrive, ma è soprattutto nell’orecchio di chi ascolta. Se voi sentirete la bellezza di questi versi, se ci sarà uno spiraglio, un tremolìo, un tintinnìo dentro di voi, voi siete Dante Alighieri. Dante l’ha fatto perché sapeva che c’erano delle persone che questa bellezza erano in grado di accoglierla; se qualcuno di voi la sente, sarà successa una bella cosa».

Concludendo, al di là dei rilievi che possono certamente essere fatti a riguardo dell’interpretazione di singoli passaggi del capolavoro dantesco, non sempre colti nella loro autentica profondità teologica, occorre riconoscere a Benigni il grande merito di essersi confrontato lealmente con tale opera e di aver trasmesso al grande pubblico l’entusiasmo di questo suo confronto. E, nel panorama culturale che ci circonda, non è cosa da poco.