Opinioni & Commenti

Giovanni Paolo II, come un padre

di Silvano Spaccatrosi

La folla silenziosa che si attarda ogni giorno in fila per inginocchiarsi davanti alla tomba di Papa Wojtyla testimonia che il vuoto da lui lasciato nel cuore del popolo cristiano non è stato ancora colmato. Tre anni dopo quel 2 aprile 2005 ci manca quel suo sguardo gioioso e rassicurante, la sua parola franca e decisa, le sue carezze. Soffriamo la nostalgia per il suo amore che non c’è più, come succede quando un genitore ci lascia.

Perché questo era stato per noi tutti, e forse anche per quelli che non avevano la fede o l’avevano tiepida: prima di ogni altra cosa un padre. Pronto a confortarci, a rassicurarci, a indicare il cammino. A condurci in alto mare, senza soccombere ai flutti minacciosi.

Padre nell’amore e dalla fede incrollabile, nella sua essenzialità. Dio e l’uomo aveva posto al centro della sua vita, amori inseparabili per chi, amando l’uomo sapeva anche di pregare Dio.

Come un padre si era speso molto per i suoi figli, non rinunciando ad andare a trovarli anche nei luoghi più sperduti, perché fossero coscienti che l’amore di Dio non conosce confini. Come un padre aveva anteposto la sua persona a chi, obbedendo alle ideologie o perseguendo progetti di potere, aveva costruito sistemi oppressivi dei diritti umani. Rimanendo tuttavia, nel suo lungo magistero, un maestro di fede, un uomo di religione, il cui fine era portare all’umanità la gioia e la consolazione dell’amore di Cristo.

Senza mai risparmiarsi, anche quando la sofferenza fisica era ormai diventata insopportabile. Fino all’agonia.

Per Karol Wojtyla la parola «croce» non è stata solo una parola. Anche nella sua personale sofferenza il mondo si è riconosciuto di più. Nel fardello quotidiano che ognuno porta con sé, così come nelle grandi tragedie collettive che sono i conflitti tra popoli e nazioni, non mancava la sua parola di conforto o la sua denuncia, ferma e appassionata. Un balsamo per i cuori smarriti, una speranza contro l’inevitabilità della guerra. Ed ora che quella parola forte e chiara tace, cresce l’attesa del popolo del «santo subito», come bisogno di intercessione per noi ancor più che per onorare la santa vita del servo di Dio.

Bisognerà però aspettare la definizione del processo canonico, che si trova al momento nella fase della positio, ossia della raccolta degli scritti e delle testimonianze sulla vita del servo di Dio, su cui dovranno poi esprimersi teologi e consultori. Un buon cammino percorso, soprattutto dopo che Benedetto XVI aveva permesso l’immediato inizio del processo, senza attendere i cinque anni dalla morte come avviene di consueto.

Ma il bisogno e l’impazienza dei fedeli nascondono comunque una profonda verità. I santi sono tali perché la Chiesa e il popolo di Dio hanno bisogno di loro, perché i fedeli li riconoscono tali. Gli altari cioè danno luce e speranza al mondo, non sono istituiti per ricevere applausi. E nella richiesta pressante del «santo subito» si manifesta il bisogno che Karol Wojtyla continui, anche in modo visibile, ad illuminarci ed assisterci nel nostro cammino terreno. A non avere paura di affidarci a Cristo, come la sua vita ci ha insegnato.