Opinioni & Commenti

Gmg, dal Mondo nuovo al Continente vecchio. Sapremo cambiare?

Da Rio de Janeiro a Cracovia. Dal Nuovo Mondo al Vecchio Continente. Ma dopo quello che abbiamo vissuto nei giorni di Rio, sarebbe più giusto dire “dal Mondo Nuovo al Continente Vecchio”. Perché la Polonia, Paese leader nell’Europa dell’Est, è pur sempre nel centro di quel Continente la cui gelida razionalità e il cui cuore indurito sembrano stridere con l’ondata di calore smossa dai milioni di giovani che hanno voluto accogliere la proposta di Papa Francesco. Non è ancora tempo di bilanci per la Gmg, che presto stileremo. In queste ore, non solo avvertiamo una forte emozione destinata a sedimentarsi, ma anche una sana inquietudine ecclesiale. Che proviamo a esprimere con una domanda: quale Chiesa incontrerà Papa Francesco fra tre anni a Cracovia?

Questi 36 mesi che ci dividono dall’appuntamento con la 29esima Gmg nella terra di Giovanni Paolo II, che tenacemente e contro tutti gli scettici e i benpensanti cattolici volle questo straordinario appuntamento del cattolicesimo giovane, saranno sufficienti per assimilare la lezione di Bergoglio?

La domanda è assolutamente legittima perché nelle parole rivolte dal Papa a vescovi, sacerdoti, religiosi e milioni di giovani credenti, non c’è ombra di rassegnazione. Anzi, affiora una determinazione a cambiare il corso della storia della Chiesa, partendo da una drammatica considerazione sul nostro tempo: “Non è un’epoca di cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca”. Siamo già in un “tempo nuovo”, vuole dirci il Papa. Attardarci a filosofeggiare o a dividerci, non è più consentito. E noi, italiani ed europei, abbiamo il dovere di riproporre con forza la domanda che il Papa incessantemente ha rivolto a tutti i suoi interlocutori, persino politici, nei giorni di Rio: “Che cosa chiede Dio a noi?”.

A questa domanda la Chiesa italiana e le Chiese d’Europa dovranno provare a dare risposta nei prossimi tre anni. Perché non si può restare indifferenti alla richiesta stringente di porre Cristo al “centro” e di farci tutti noi periferici. Comunque vada, è Gesù “al centro”, non la nostra Chiesa, la nostra associazione, il nostro movimento, la nostra comunità o la nostra parrocchia. O, molto più banalmente, ciascuno di noi. Questo spostamento di tutti noi un po’ più in là, non è semplicisticamente una sorta di ricollocazione geo-ecclesiale, di nuova geografia ecclesiale. È un’autentica rivoluzione di Chiesa, nella quale ci tocca vestire i panni dei discepoli di Emmaus.

Se pensiamo alla nostra stanca Europa, chiusa nei suoi bastioni intellettuali e finanziari, riusciamo a cogliere la portata della sfida lanciata da Francesco. È l’Europa tutta che appare delusa. Ma la risposta di Francesco non va alla ricerca delle responsabilità altrui e si chiede, perciò, se la Chiesa non sia apparsa “troppo fredda”, “troppo lontana”, “troppo autoreferenziale”. Forse – aggiunge il Papa – “la Chiesa è apparsa prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta”. A questa umanità delusa il Papa ci chiede di rispondere colmando le distanze che ci separano, andando incontro ai poveri (in crescita dappertutto) che potrebbero perdere la pazienza e non aspettare più l’annuncio del Vangelo.

A Rio il Papa ha scritto una pagina, per parole e gesti, della teologia dell’incontro e del dialogo. Lo ha fatto fisicamente e spiritualmente, senza risparmiarsi, dal primo all’ultimo momento in terra brasiliana, trattando gli indios dell’Amazzonia e i capi di Stato con gli stessi canoni: una parola e un abbraccio. Dalla Gmg brasiliana ricaviamo il forte richiamo, dunque l’impegno, e la speranza di una svolta pastorale della nostra Chiesa, in ogni angolo del mondo. Una Chiesa giovane che sappia andare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo con una missione per conto di Gesù: “Dialogo, dialogo, dialogo”.