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Grecia, ognuno ha cantato la sua canzone fuori dal coro

In cinque anni di cura di austerità le spese pubbliche della Grecia sono diminuite di un terzo. 250 mila impiegati pubblici sono stati licenziati. I disoccupati sono saliti da 300 mila a un milione e 200 mila. Le pensioni sono state ridotte del 15 per cento anche quando erano inferiori a 400 mila euro. Il prodotto nazionale è calato del 23 per cento. Ed ora, se la comunità europea non interviene a dare al paese un minimo di liquidità, le banche fallite chiuderanno anche gli ultimi bancomat e all’interno dell’Europa del benessere e del welfare avremo un paese condannato a vivere di emergenza umanitaria come se si trattasse di uno dei paesi più poveri e perseguitati dell’Africa o dell’Asia.

Erano cento anni dal tempo del trattato di Versailles che un paese dell’Europa non veniva punito così. Quali che siano le colpe dei greci, che non sono poche anche se non sono uniche, l’Europa aveva smesso già dall’indomani della seconda guerra mondiale di punire i popoli anche quando erano colpevoli di colpe ben più gravi. Ma oggi, con il pretesto che si è persa la fiducia nei greci, si cercano con il nome di garanzie riparazioni che sconfinano apertamente e forse volutamente nelle umiliazioni. Così si chiede ad un paese che non è riuscito a fare certe riforme in cinque anni, ma si potrebbe dire anche cinquanta anni, di farle ora in tre giorni. Così con la pena della sospensione che si dà agli alunni peggiori si minaccia di tenere la Grecia fuori della zona euro per cinque anni fornendo così un curioso argomento di propaganda ai detrattori dell’euro perché la punizione presuppone che un paese guarisca dai propri mali proprio uscendo dalla moneta unica.

In complesso in questa ultima drammatica vicenda europea si è voluto discutere di Europa guardando agli interessi nazionali anziché agli interessi europei. Ha cominciato la Grecia volendo decidere con un referendum domestico delle condizioni a cui gli altri paesi devono dare i soldi al paese ellenico. Ha continuato la Germania a piangere sui soldi che i tedeschi dovevano dare alla Grecia con la logica dell’egoismo dei ricchi contrapposto alla rabbia dei poveri e con preoccupazioni anche elettorali che condizionano la Merkel, impressionata dalla popolarità del «falco» Schauble. In sostanza ognuno ha cominciato a cantare la sua canzone fuori dal coro e i nazionalismi, per fortuna ancora solo economici, sono di nuovo diventati il principale argomento per dire sì oppure no.

La Germania, che da sempre con Adenauer, Brandt e Kolh aveva puntato all’unità dell’Europa, per la prima volta mette in conto l’amputazione di uno stato dal resto dell’eurozona. L’asse franco tedesco su cui da cinquanta anni si è retto il processo di unificazione europea si rompe sulla questione greca e sull’evidente terrore di Hollande di fronte ad una Germania che riesce a trascinarsi dietro la maggioranza dei paesi europei.

La Gran Bretagna che è già sulla soglia di uscita dall’Unione europea completa il quadro di uno scollamento sempre più caotico fra le grandi potenze che da sempre hanno fatto la storia europea. Per uno scherzo del destino che è certamente fortuito, ma non per questo meno sinistro, la coalizione che sostiene la Germania nella sua intransigenza contro la Grecia con la Finlandia, i paesi baltici, gli stati del nord dei balcani ricorda non molto alla lontana lo schieramento filotedesco all’inizio della seconda guerra mondiale.

Quando fu creata la moneta unica ci fu detto che la coalizione degli interessi era il cemento migliore anche per coalizzare gli ideali. Oggi nella crisi della Grecia che diventa crisi dell’Europa ci accorgiamo che sono gli interessi che possono mandare in frantumi anche gli ideali. Mentre ora per salvare non solo la Grecia, ma anche l’Europa, c’è solo bisogno di un ulteriore sforzo di solidarietà che, se vuole avere qualche efficacia e non continuare a fare pagare i debiti con i debiti in un tunnel senza uscita, deve mettere in conto almeno la ristrutturazione dei debiti troppo insopportabili.