Opinioni & Commenti

I rischi di una democrazia «privata» e «ristretta»

Se la società è liquida, secondo la fortunata immagine del sociologo Zygmunt Bauman, necessariamente lo è anche la politica. Non sorprendono, perciò, le trasformazioni subite dal sistema politico italiano che oggi registra i limiti della democrazia rappresentativa ed è tentato da un modello di democrazia diretta. Il dibattito è sempre più di attualità in considerazione dell’affanno dei partiti tradizionali e della fortuna di movimenti in grado di sintonizzarsi in maniera innovativa con le pulsioni profonde della società. La questione non è solo faccenda per addetti ai lavori. Basti pensare all’ipotesi di una vittoria nelle urne del Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.

La prima annotazione parte dal processo di disintermediazione in atto nel mondo globale, che ha avuto nell’avvento delle nuove tecnologie il più formidabile mallevadore. Se crolla ogni forma di intermediazione è del tutto evidente che nuovi soggetti prendano posto nella scena politica. Che, come tutte le realtà umane non ammette il vuoto. Dunque il vuoto politico va riempito. Come? La risposta della democrazia diretta intende accorciare tutte le distanze, non riconoscendo mandati in bianco a nessuno. Da qui la formula adottata dai 5 Stelle per l’eletto che altri non è se non un cittadino portavoce. Non senatore o deputato, ma portavoce. Di una volontà popolare espressa nella Rete e confermata nelle urne.

Seconda annotazione: i padri costituenti videro nella democrazia rappresentativa lo strumento per raccordare, dopo il fascismo e dinanzi al rischio di nuovi totalitarismi, il popolo alle élites. La formula ha retto per mezzo secolo per poi andare a naufragare nelle secche della corruzione fattasi sistema. Da quel momento, complici le scorciatoie giustizialiste e il generale indebolimento di tutte le classi dirigenti, si è fatta strada l’idea di una sorta di rifondazione democratica attraverso meccanismi di democrazia diretta. In questo senso va letto anche lo strumento delle primarie, di partito o di coalizione, per accorciare le distanze fra cittadini e futuri governanti.

Terza annotazione: la politica vive come sospesa fra passato e futuro. Il presente registra una contestazione di fatto del modello democratico emerso nel Dopoguerra. Basti pensare all’articolo 49 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». I costituenti non potevano immaginare che forme nuove, come i movimenti, potessero divenire protagoniste assolute della politica. Inevitabili alcuni interrogativi: è indifferente che i movimenti prendano il posto dei partiti? Garantiscono democrazia e trasparenza interne? Quali forme scelgono per concorrere alla politica nazionale? Come si formano le loro classi dirigenti? Quali meccanismi di selezione del personale politico mettono in campo? Come nascono i loro programmi?

Quarta annotazione: la democrazia diretta dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) allargare la base della partecipazione. Ma accade davvero? Non evochiamo, per amor di patria, le «comunarie» indette dai Cinquestelle che hanno portato all’individuazione di candidati sindaci con poche decine di voti. Salvo essere cancellate, come nel caso di Genova, con un categorico «fidatevi di me» di Beppe Grillo. Analizziamo la formazione dei programmi in vista delle elezioni politiche. Ad esempio, il voto sulla politica estera prevedeva solo l’indicazione di una scaletta di priorità su un elenco di temi già prestabilito e ha registrato complessivamente (fonte «Fatto Quotidiano») la partecipazione di 23.481 persone su un totale di oltre 134mila iscritti alla Piattaforma Rousseau gestita dalla Casaleggio Associati. Al primo posto con 14.431 preferenze lo stop ai Trattati internazionali come Ttip e Ceta. Il ripudio della guerra, per dire, si pone solo al quarto posto con 6.814 voti. In fatto di numeri il pensiero corre alle primarie del Pd dove un’affluenza sotto i due milioni di elettori è considerata un insuccesso.

In conclusione si insinua un’inquietante sensazione: le prassi del movimento sembrano evocare la nascita di una nuova oligarchia che si sente già pronta a sostituire quella fiaccata della Seconda Repubblica. Ma se i numeri non mentono, appare del tutto evidente che una base ristrettissima (gli iscritti) potrebbe conquistare un consenso enorme. Inevitabile il sospetto che possa nascere una sorta di democrazia «privata» e «ristretta», modellata da un algoritmo della Casaleggio Associati. Magari con un guru solo al comando.