Opinioni & Commenti

Ici sui beni della Chiesa: ecco la verità

DI CLAUDIO TURRINI

A sentire quello che riportano i giornali italiani in questi giorni la Casa delle Libertà starebbe per fare un grosso regalo alle gerarchie ecclesiastiche esonerandole dal pagamento dell’Ici per gli immobili di sua proprietà e sottraendo così risorse alle già depredate casse degli enti locali, costretti ad ulteriori e gravosi tagli alla spesa sociale. Alle proteste di molti politici dell’Unione (tra le poche eccezioni quella del cristiano-sociale il diessino Mimmo Lucà), si sono aggiunte – sempre stando ai giornali – anche quelle di altre fedi e confessioni religiose, oltre ovviamente di tutte le organizzazioni laiciste e della stessa massoneria. Ma le cose non stanno affatto così e una campagna di stampa con questo livore anticlericale è davvero inspiegabile.

Ma vediamo prima di tutto di cosa si tratta, con l’aiuto di un interessante articolo di Patrizia Clementi, pubblicato sul settimanale on line della Diocesi di Milano «Incrocinews».

L’art. 6 del Decreto legge 17 agosto 2005, n. 163(«Misure urgenti in materia di infrastrutture») in corso di approvazione in Parlamento recita così: «L’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lettera 1) del decreto legislativo 30 dicembre 2002, n. 504, e successive modificazioni, si intende applicabile anche nei casi di immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1985, n. 222, pur se svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto».

Si tratta, come si può vedere, di una norma interpretativa che si è resa necessaria dopo che la Cassazione aveva emanatoSentenza 4645 dell’8 marzo 2004)una sua sentenza nella quale, di fatto, modificava quanto stabilito dal decreto legislativo 504 del 1992, che aveva introdotto l’Ici. In quell’occasione il legislatore aveva previsto all’articolo 7 i casi in cui gli immobili devono essere sottratti all’imposizione dell’Ici: ad esempio tutti gli immobili in cui si svolgono attività istituzionali dello Stato o degli altri enti pubblici (le sedi di Comuni, Province, Regioni, Asl, ospedali, scuole pubbliche… ecc.). Tra le esenzioni fugurano anche gli immobili inagibili che siano recuperati e destinati ad attività assistenziali in favore di portatori di handicap.

In questo quadro, il legislatore ha previsto che siano esonerati dal pagamento dell’Ici gli immbili utilizzati dagli enti non commerciali (o no profit, come associazioni, fondazioni, ong, enti ecclesiastici, enti locali…) se destinati ad attività ben precise ritenute di particolare significato per il contesto sociale. Da notare – per inciso – che secondo dati del Ministero dell’economia gli immobili di enti ecclesiastici esonerati dall’Ici sono appena il 4% di tutti quelli esonerati e che da questo punto di vista non ci sono privilegi per i cattolici, dato che le esenzioni valgono anche per gli immobili di altre confessioni religiose.

Ora, gli enti ecclesiastici sono una categoria di enti non commerciali il cui fine è per obbligo di legge (il Concordato) quello di religione o di culto, che una legge dello Stato (le 22 del 1985) divide in due categorie: – le attività definite di religione o di culto che l’ente ecclesiastico deve per forza svolgere, altrimenti non viene riconosciuto dallo Stato come ente ecclesiastico. – la seconda categoria prevede tutte le altre attività (tecnicamente definite «attività diverse da quelle di religione o di culto»), che l’articolo 16 (lettera b) indica in parte elencando quelle più frequentemente vengono svolte: «Quelle di assistenza e di beneficienza, istruzione, educazione e cultura» e in parte definendole genericamente come «attività commerciali o a scopo di lucro». Per avere diritto all’esenzione dell’Ici però non basta essere un ente non commerciale. La legge richiede un secondo requisito: che nell’immobile sia svolta un’attività tra quelle indicate in due elenchi (art. 7, c. 1, lett. i del D. Legis. 504 del 1992): – nell’elenco 1, che riguarda tutti gli enti non commerciali, e non solo quelli ecclesiastici, sono comprese le attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive; – nell’elenco 2 sono comprese le attività di religione o di culto (rinviando all’art. 16 della Legge 20 maggio 1985, n.222) e quindi si applica solo agli enti ecclesiastici.

E’ evidente che per la legge del 1992 le attività del secondo elenco sono sempre non commerciali, mentre quelle del primo possono essere indifferentemente commerciali oppure non commerciali.

Qui si inserisce la sentenza già citata della Cassazione, che esaminando il ricorso di un istituto religioso (Suore Zelatrici Sacro Cuore Ferrari) contro il Comune dell’Aquila, ha riaffermato che per avere diritto all’esenzione occorrono i due requisiti di cui parlavamo sopra: essere un ente non commerciale e svolgere nell’immobile una delle attività elencate e hanno riconosciuto che quell’istituto, che svolgeva attività sanitarie e ricettive, ottemperava a entrambe le prescrizioni. Ma hanno aggiunto che per aver diritto all’esenzione in realtà occorre ottemperare ad una terza condizione: che le attività siano svolte in forma non commerciale. Ma come si può gestire, per esempio, un ospedale o una scuola senza porre in essere attività commerciali?

Facciamo un esempio concreto: una scuola materna di proprietà di un ente ecclesiastico prima della sentenza della Cassazione non pagava l’Ici anche se le famiglie versavano una retta (quindi si trattava di un’attività svolta in modo commerciale). In questo caso, ovviamente, lo stesso ente avrebbe pagato regolarmente l’imposta sui redditi. Dopo la sentenza della Cassazione ci sono stati comuni, come quello di Genova, che si sono affrettati a chiedere alle varie scuole cattoliche arretrati Ici per milioni di euro (700 mila euro solo per l’immobile dell’Istituto Don Bosco di Genova che ospita 870 allievi). Anche qui osserviamo, per inciso, che quando viene detto che vengono sottratte risorse ai Comuni non si tratta di togliere qualcosa, ma eventualmente di non dare la possibilità di introdurre queste tassazioni.

Ecco perché si era resa necessaria una norma di legge che ristabilisse certezza in questo campo e garantisse che in ogni comune venga applicato quanto previsto dalla norma del 1992. Quindi nessuna nuova agevolazione, ma la doverosa precisazione che ai fini dell’esenzione servono due requisiti e non tre come vuole la Cassazione. Anzi, potremmo osservare che l’art. 6 della Legge 163 pone una limitazione in più rispetto alla legge del 1992 perché prevede che comunque l’attività esentata sia «connessa a finalità di religione e di culto».

Tra l’altro viene scritto su tutti i giornali, riportando dichiarazioni di sindaci e assessori al bilancio, che la nuova norma in approvazione avrebbe anche un effetto retroattivo. In altre parole i Comuni dovrebbero rimborsare l’Ici indebitamente pagata dagli enti ecclesiastici fin dal 1993, sborsando così cifre da capogiro. A parte il fatto che, come abbiamo visto, il problema sorge più che altro dopo la sentenza della Cassazione del 2004 (che ha spinto alcuni Comuni a chiedere l’Ici a scuole e ospedali cattolici fino ad allora esentati), nessuno ricorda però che per l’Ici il cittadino può chiedere rimborsi solo per gli ultimi tre anni di imposta, mentre da parte sua il Comune può richiedere arretrati fino a cinque anni.

C’è un altro aspetto da considerare: il DL 446/1997 consente ai comuni di limitare i possibili benefici fiscali per gli immobili di enti non commerciali, attribuendo l’esenzione soltanto ai fabbricati che oltre a essere utilizzati, siano anche posseduti da questi enti. Quindi, in molti comuni, indipendentemente da quanto prevede questo art. 6 del Dl 163 (se approvato definitivamente), l’esenzione Ici non scatterà per quegli immobili che pur avendo i requisiti previsti (ente non commerciale e determinate attività) non sono gestiti direttamente dal proprietario (es. una scuola gestita di proprietà diocesana gestita da un ordine religioso o da un’associazione).

E’ interessante anche notare quanto è avvenuto dopo l’approvazione delle legge 206/2003 con la quale «lo Stato riconosce ed incentiva la funzione educativa e sociale svolta nella comunità locale, mediante le attività di oratorio o attività similari, dalle parrocchie, dagli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, nonché dagli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato un’intesa ai sensi dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione».

Una circolare del Ministero degli Interni (Circolare 12 luglio 2005, n. 28: “Trasferimenti erariali compensativi ai comuni a copertura delle minori entrate del gettito dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), previsti dall’articolo 2, comma 2, della legge 1° agosto 2003, n. 206”) chiarisce che il minor importo Ici che ne deriva ai Comuni sulla base di questa legge «ragguagliate per ciascun comune al corrispondente gettito dell’imposta comunale sugli immobili riscosso nell’anno 2002, sono rimborsate al comune dallo Stato secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno».

Nello stessa circolare «ai fini dell’applicazione della norma si indicano… le confessioni religiose che, oltre alla chiesa cattolica, hanno stipulato un’intesa con lo Stato ai sensi dell’apposita norma costituzionale: Tavola Valdese; Unione delle chiese Avventiste del 7° giorno; Assemblee di Dio in Italia; Unione delle Comunità Ebraiche in Italia; Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia (U.C.E.B.I.); Chiesa Evangelica Luterana in Italia (C.E.L.I.)».

Il decreto decade La sbarramento mediatico contro l’art. 6 della legge 17 agosto 2005, n. 163 ha sortito i suoi effetti. Nella serata di mercoledì 12 ottobre il presidente della Camera Pierferdinando Casini ha annunciato che il decreto Lunardi sulle infrastrutture, approvato al senato e ora all’esame della Camera, è da considerare decaduto, nonostante che tecnicamente ci sarebbe tempo fino a lunedì 17 ottobre per convertirlo in legge. Il dibattito sulla legge elettorale e anche i ritardi e i dubbi nella maggioranza (il ministro dell’economia non avrebbe fornito alla Commissione i dati richiesti sulal copertura) hanno impedito che fosse approvato ieri in Commissione per poi approdare in aula. Si ipotizza che possa venire recuperato con un emendamento alla Finanziaria, anche per recuperare le altre norme contenute nel decreto che riguardava tutt’altra materia dall’Ici, ovvero le grandi infrastrutture del paese. Toccafondi a Domenici: «Cominciamo a dire la verità» Questo il testo della lettera aperta che il consigliere comunale di Forza Italia, Gabriele Toccafondi, ha inviato al sindaco di Firenze Leonardo Domenici. «Caro Sindaco, ti scrivo in qualità di Presidente dell’associazione nazionale dei comuni italiani, che sulla vicenda Ici e Chiesa cattolica ha avuto modo di partecipare, insieme a tanti esponenti del centrosinistra e ad alcuni giornali, ad una campagna stampa che poco ha a che fare con la realtà dei fatti e che tutt’ora rischia di generare un clima di scontro di cui nessuno, ne sono certo, sente la necessità. Come tu sai scuole cattoliche, centri per minori, strutture per disabili, strutture per indigenti, immobili per la formazione professionale e centri culturali di proprietà di enti ecclesiastici non hanno mai pagato l’ICI e continueranno a non pagarla. Altri immobili di proprietà di enti religiosi come ad esempio case affittate a terzi o cinema parrocchiali l’hanno sempre pagata e continueranno a pagarla. Questo stabilisce, o meglio stabiliva, l’articolo 6 del decreto legge sulle infrastrutture, approvato al Senato, norma che dovrebbe essere comunque inserita in finanziaria. La norma, dunque, non cambia rispetto al passato e non sottrae neanche un euro ai Comuni. Questa è la realtà. Eppure sembra che stia avvenendo una vera e propria rivoluzione. Titoloni sparati in prima pagina, commenti indignati, numeri a sei cifre di minori entrate, dichiarazioni fuori luogo e, soprattutto, il rischio di generare un senso di odio e disprezzo verso realtà che operano per il bene comune. Il tutto scaturito da una non conoscenza di quanto realmente stava accadendo. La notizia richiede di essere smentita dai fatti. Per orientarsi nella complessa vicenda bisogna partire dal 1992 quando Presidente del Consiglio era Giuliano Amato, anno di nascita dell’ICI. Una norma vecchia di 13 anni su cui finora nessuno ha avuto mai da ridire, nemmeno il centrosinistra quando era al governo. La legge istitutiva del tributo stabilisce, infatti, non solo chi deve pagare, ma anche chi è esentato. Non sono soggetti al pagamento dell’ICI gli immobili degli enti pubblici come le scuole pubbliche, i musei, le biblioteche, gli archivi, e tra l’elenco degli esenti ci sono anche gli edifici di culto della Chiesa cattolica e di tutte le confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato. Sono quindi esenti le chiese e i locali annessi dove si fa catechismo o la casa canonica, così come quelli di tutte le confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato. Sono esenti, inoltre, quegli immobili degli enti non commerciali cioè senza fini di lucro, che siano esclusivamente destinati a una serie di finalità elencate sempre dalla legge del 1992 ovvero attività culturali, ricreative, sportive, assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche e ricettive. In questo gruppo rientrano anche, ma non solo, gli enti ecclesiastici, questa categoria comprende infatti tutti gli enti del terzo settore, le organizzazioni no-profit, le onlus, le cooperative sociali, gli enti delle altre confessioni religiose. Gli enti ecclesiastici rappresentino il 4,3% del numero complessivo di questi soggetti che sono esentati. Questo vuol dire che non pagano l’ICI gli ospedali e le case di cura o di riposo, le scuole non solo facenti capo alla Chiesa cattolica, ma a uno qualunque degli organismi esentati per legge. E questo vuole dire anche che gli enti ecclesiastici hanno sempre pagato l’ICI per gli appartamenti di proprietà dati in affitto a terzi, oppure per i locali affittati ad attività commerciali. Più complessa è invece la definizione dell’attività ricettiva. Un conto sono le case adibite ad ospitare i pellegrini o le case adibite a campi scuola che rientrano nella categoria esentata, diversamente accade per le attività alberghiere vere e proprie. Nel caso limite di immobili utilizzati in parte per una finalità esente, in parte no valeva la regola della divisione catastale e se questo non era possibile l’ICI si pagava su tutto l’immobile. Trattandosi di una tassa comunale in questi anni si sono avute singole controversie interpretative. La difficoltà nasce in seguito a una sentenza della Cassazione del 2004 che fu chiamata a decidere sull’attività di ospitalità svolta da un istituto religioso, la diatriba riguardava l’attività: ricettiva, e dunque esente, oppure alberghiera e quindi non esente. La Corte, con tale sentenza, ha introdotto un nuovo requisito, non previsto dalla legge del 1992, si afferma cioè che l’attività deve essere oggettivamente non commerciale. La sentenza crea quindi tutta una serie di difficoltà e soprattutto un vuoto interpretatativo su cosa significhi “oggettivamente non commerciale”, con il rischio che questa regola si applichi solo per gli enti religiosi. Ad esempio, se l’attività deve essere oggettivamente non commerciale, come si può gestire una scuola o un ospedale o una casa di riposo senza porre in essere operazioni commerciali visto che questi enti sono convenzionati anche con enti pubblici? Di qui la necessità e l’obbligo di un intervento interpretativo del legislatore. Tale è, appunto, il decreto legge del Senato, il quale ribadisce semplicemente che sono esenti gli immobili degli enti ecclesiastici utilizzati «per attività di assistenza, beneficenza, istruzione, educazione e cultura, pur svolte in forma commerciale, se connesse a finalità di religione o di culto», lasciando intatta la parte della legge riferita a chi non era esonerato. Se non fosse intervenuto il legislatore, la sentenza del 2004, portata alle estreme conseguenze, avrebbe fatto sì che mentre altri enti non commerciali avrebbero potuto continuare a usufruire dell’esenzione per tutti gli immobili previsti nella legge del 1992, gli enti ecclesiastici non avrebbero pagato l’ICI solo per le chiese, i seminari e poco altro. Non c’è, dunque, alcuna estensione dell’esenzione ma un provvedimento che impedisce un’arbitraria discriminazione. I Comuni non subiranno alcun danno, per la semplice ragione che mai l’ICI è stata pagata su questi immobili, anzi con il decreto, possiamo dire, che sono gli enti che non subiranno alcun danno e così a non subire danno sono i tanti cittadini che sono assistiti da questi enti». Aggiornamento Il 30 novembre 2006, il Parlamento ha convertito in legge il D.L. 203/05 contenente anche la nuova disposizione in materia di ICI (GU n. 281 del 2-12-2005- Suppl. Ordinario n.195). Questo l’articolo 7 comma 2bis: «L’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attivita’ indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse». Nella Finanziaria 2006, un comma (133) precisa che l’esenzione da imposte per gli immobili destinati allo svolgimento delle attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, culturali e ricreative utilizzati da enti pubblici e privati non esercenti attività commerciali in via esclusiva, decorre dal 3/12/2005 e i versamenti effettuati anteriormente non saranno restituiti o rimborsati. Ecco il testo: «133. All’articolo 7, comma 2-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Con riferimento ad eventuali pagamenti effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non si fa comunque luogo a rimborsi e restituzioni d’imposta.» Segnalo un interessante articolo del pastore Eugenio Bernardini, della Chiesa Valdese, dove viene correttamente spiegata la questione (anche se con qualche accenno polemico alla Chiesa cattolica). L’articolo di Patrizia Clementi su Incrocinews Sentenza Cassazione 8 marzo 2004, n.4645 IL COMMENTO: L’Ici e la Chiesa: falsità tali che sembrano vere Intervista a Patriazia Clementi dopo la decadenza del decreto Esenzione Ici, un «regalo» alla Chiesa? I lettori ci scrivono Il testo del decreto 163 («Misure urgenti in materia di infrastrutture»)

Il testo del decreto 203 del 30 novembre 2005

Il testo della legge 661 (Finanziaria 2006)

Il dossier di Avvenire