Opinioni & Commenti

Il creato non è più grande del Creatore

di Massimo Lippipoeta e scultore«Non cade foglia che Dio non voglia». Saggezza popolare intrisa di teologia e di poesia spontanea. Sfrattate zitelle dal tempio della cultura, anche se per garbo e degnazione si continua a conferire il premio Nobel per la poesia e, in televisione, la megera incipriata di orrori consulta teologi e persone informate sul trascendente. In realtà queste due sorelle, la Teologia e la Poesia, non lavorano più insieme. Cacciate lontano l’una dall’altra a guadagnarsi il pane con le loro sole forze, quelle del convincimento e della persuasione; a tornire con scelte parole e ragionamenti con dieci anelli di salti mortali, nel fitto nebbione che avvolge e separa gli specialisti dal popolo. Questo per la Teologia.

Per l’Arte di Virgilio e di Dante, invece, si procede a scolorite immagini, sciacquettate ombre in debolissima voce per non urtare la suscettibile tolleranza degli edotti. Maraviglia incontenibile che versicola se stessa in torme di libretti a stampa. Poesia: arte di anoressici e bulimici della parola e della scrittura.

L’umanità è traboccante dolore, inguaribile piaga, agghiacciante lamento nella notte buia. Ma è davvero così? Il Creatore del mondo è sgusciato via dalla sua creazione? E quando? E perché? Oppure il nostro senso della Fede ha subìto un oltraggio troppo forte o forse l’usura del tempo sgretola le nostre più intime certezze? Al tempo! L’oro si prova col fuoco. Ma intanto l’acqua travolge e fa strage. Sciagura che infetta di ruggine dubbiosa ogni nostro sublime parlare. L ‘ecumene sprofonda, le terre emerse, asciutte tornano d’improvviso a chiudersi nel loro manto equoreo: micidiale e assurda iniziativa ai nostri occhi. Di colpo svanisce la speranza. Questa creazione non è più amica. Non è più l’ameno spettacolo da casa vacanze. Il francescanesimo d’accatto periclita, frana il castello di pan di zucchero, affonda la nave degli spensierati e dei gaudenti, qui ben ancorata nel pensiero occidentale, ma affogano davvero le creature di martoriate terre e di paradisi a pagamento. Strano destino quello dell’occidente riguardo al paradiso in terra.

Prima vennero i paradisi artificiali delle droghe contestative e liberanti. Infine, ma c’è chi giura e briga perché ne vengano altri di più sofisticati e goderecci, è arrivato da un ventina d’anni il paradiso del viaggio in compagnia aerea e in compagnia della «natura da favola».Ma chi placa questo Dio che appare come lo sterminatore cieco e insensato delle sue creature, anche quelle più deboli e povere? La santa tradizione e i mistici dicono: la preghiera e il digiuno. Dio tiene il mondo tra l’abisso e la Grazia, a mani alzate come uno Sposo che faccia il gomitolo dalla matassa dei secoli e delle vicende umane, nell’aia dove si spula il grano all’ombra dei cotogni. Il filo talvolta si spezza e si riannoda ai rovi della morte e del dolore. Ruzzola il gomitolo, si rompe il naspo, si zuppa di fango e di pianto la candida lana del gregge, ma Dio carda e fila, ammatassa e fa crescere la veste ai miseri là dove l’uomo non ha seminato. Le sue vie non sono le nostre vie e Giobbe, il tribolato, riavrà i suoi beni e tre meravigliose figlie: «Colomba, Cassia e Fiala di stibio».

Dunque bisogna soccorrere i sopravvissuti della catastrofe nel Sud-est asiatico e maggiormente quelli che, qui da noi, non piangono né al canto funebre, né alla musica sublime degli amici dello Sposo. Inchiniamoci con il timore dei Santi e la fiducia di una creatura svezzata in braccio a sua madre.