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Iraq, ottenere il disarmo senza le armi

di Romanello CantiniNel mondo ci sono ormai otto paesi dotati di un armamento atomico. Almeno altri cinque paesi si stanno interessando alla produzione di armi nucleari.

Più affollato ancora è purtroppo il club dei detentori di armi chimiche o biologiche. Secondo i più aggiornati studi in materia i paesi dotati di armi chimiche sono almeno venti. Quelli che possiedono armi biologiche sono una dozzina, ma ben un centinaio sono in grado di produrle. Se Saddam Hussein possiede armi di sterminio di massa è dunque in buona (o meglio cattiva) compagnia. Che dobbiamo fare? Per ripulire il pianeta da questi rischi dobbiamo mettere in programma una collezione di guerre contro la metà degli stati del mondo?

Vero è che Saddam Hussein ha anche usato le armi chimiche due volte: prima contro i soldati iraniani nella guerra di venti anni fa e poi contro la città curda di Halabja nel 1988. Ma dopo la guerra del Golfo il disarmo dell’Iraq c’è stato anche se in forma non completa. Contrariamente ad un battage propagandistico per cui gli ispettori dell’Onu sarebbero stati presi in giro per otto anni in una sorta di gioco a rimpiattino fra gatto e topo la loro ultima relazione ci dice che il loro lavoro, finché è durato, è stato tutt’altro che inutile. Sono stati distrutti 88.000 proiettili chimici, 400 tonnellate di agenti usabili a questo scopo, 22 tonnellate di prodotti di laboratorio sfruttabili per armi biologiche e un minuscolo arsenale nucleare. Se l’Iraq si dice disposto ad accettare di nuovo gli ispettori perché preferire il disarmo con le armi al disarmo senza armi?

La inaudita teoria della guerra preventiva cerca di fondarsi su una presunta alleanza fra Iraq e Al Qaeda. Poiché l’Iraq non può colpire direttamente gli Stati Uniti si immagina l’incubo del kamikaze con un fagotto nucleare o chimico al centro di New York. Ma, nonostante tutte le indagini frenetiche condotte in questa direzione, nessuno è riuscito finora a dimostrare un rapporto provato fra Saddam Hussein e Bin Laden.

Non c’è programma di guerra, per quanto sofisticato, che possa essere fatto apparire come un programma incruento, leggero, magari delicato come quello della lavatrice.La guerra avrà comunque un alto costo umano. La guerra del Golfo di undici anni fa fece decine di migliaia di morti e duecentomila soldati americani sono stati riconosciuti invalidi per i postumi misteriosi di quel conflitto. Il costo finanziario di quella guerra fu di 80 miliardi di dollari (160 mila miliardi delle vecchie lire).

I rischi di una nuova guerra condotta unilateralmente sono anche più inquietanti e difficilmente prevedibili. Fra i più concreti: un possibile bombardamento di Israele, l’incendio dei campi petroliferi, l’uso dei mezzi di distruzione di massa. Fra i meno calcolati e più oscuri: l’impantanamento nel caos e nella guerriglia urbana in assenza di qualsiasi alternativa locale al potere di Saddam. Fra le possibili ripercussioni a largo raggio: la sollevazione delle masse arabe, il rafforzamento del reclutamento fondamentalista, la destabilizzazione di regimi in bilico come l’Arabia Saudita, lo sbrandellamento di un minimo di solidarietà nel mondo arabo contro il terrorismo di Al Qaeda, la pretesa, d’ora in avanti da parte di altri stati di ottenere anch’essi una privata licenza di guerra preventiva sull’esempio americano, specialmente se la guerra avvenisse al di fuori o contro le decisioni dell’Onu.