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La «conversione» di Tony Blair rimette in moto il dialogo

di Elio Bromuri

La notizia della «conversione» al cattolicesimo dell’ex premier inglese Tony Blair (nella foto in udienza da Giovanni Paolo II), avvenuta ufficialmente il 21 dicembre scorso nella cappella privata del card. Murphy O’Connor (leggi notizia), anche se da tempo annunciata, ha fatto il giro del mondo ed è stata ampiamente e variamente commentata. In generale si è avuto rispetto per una decisione che attiene alla vita personale e familiare dell’uomo politico che ha saputo tenere distinta la sfera privata da quella pubblica. Egli infatti ha moglie e figli cattolici e già da tempo accompagnava regolarmente la sua famiglia alla Messa nella parrocchia cattolica.

Di per sé non si tratta neppure di conversione, e non c’è stato bisogno di ripetere il battesimo. Le due comunità cristiane, infatti, condividono la stessa fede nelle verità fondamentali della rivelazione cristiana, e da molto tempo hanno intessuto relazioni amichevoli in un dialogo ecumenico volto a sviluppare una maggiore conoscenza reciproca e il superamento di dissensi dottrinali ancora persistenti. La scelta di Blair costituisce comunque un fatto molto importante che la Chiesa cattolica ha recepito con gioia, pur sobria e senza trionfalismi, perché rivela la serietà e la libertà della ricerca della comprensione della fede nella vita anche di uomini di successo.

Da parte anglicana non si è gridato allo scandalo, come si poteva supporre in un Paese la cui storia è profondamente segnata dal distacco da Roma ed in questo momento, secondo alcuni sondaggi, assiste al sorpasso numerico dei cattolici sugli anglicani. Di notevole valore ecumenico è stato l’atteggiamento del primate anglicano Rowan Williams, che ha rivolto a Blair i migliori auguri nel suo cammino spirituale. La vicenda di Blair e il modo in cui si è svolta, da esperienza di una persona singola, potrebbe segnare un ulteriore passo in avanti nella comprensione tra le Chiese e comunità cristiane in generale, e un più serrato scambio tra cattolici e anglicani improntato a sincerità e libertà. Nonostante le difficoltà sopraggiunte negli ultimi anni, infatti, Cattolici e Anglicani, nella storia del movimento ecumenico, sono stati tra i primi a firmare documenti di convergenza sui temi centrali della fede cristiana quali l’Eucaristia ed anche recentemente sulla questione dell’autorità nella Chiesa. Non sarà fuori luogo ricordare che il primate anglicano Ramsey è stato il primo leader di una grande confessione cristiana a recarsi in visita, appena dopo il Concilio nel 1968, a Paolo VI e a firmare una dichiarazione comune che dava il via ad un «serio dialogo» che «possa condurre a quell’unità nella verità per la quale ha pregato Cristo». Questo passo fatto da Blair, anziché produrre incomprensione tra le due comunità, potrebbe, pertanto, ridare fiducia e rimettere in movimento quel dialogo che alcune questioni, quali il sacerdozio ministeriale femminile, hanno piuttosto raffreddato.