Opinioni & Commenti

La lezione di don Milani: ripartire dai giovani

di Michele Gesualdi

Il 26 giugno scorso, in occasione del 42mo anniversario della morte di don Lorenzo Milani, l’arcivescovo di Firenze, monsignor Giuseppe Betori, è salito a Barbiana a celebrare la Messa (Mons. Betori: «Don Milani camminava avanti»).

È il terzo vescovo di Firenze che in questa occasione celebra e poi si reca sulla tomba di don Lorenzo. Un’attenzione che pone don Lorenzo, nel posto che si merita al centro della Chiesa che lui ha inteso servire con tanta fedeltà.

L’Arcivescovo Betori, nella sua omelia, ha definito don Lorenzo «Un convertito che in molte cose camminava avanti». In questa definizione sta il dolore e la gioia di don Lorenzo. Il dolore di non essere sempre stato capito dalla chiesa e dalla società del suo tempo e la gioia di essere, diventato dopo la morte, per tanti, punto di riferimento. Essergli fedele oggi, ha concluso monsignor Betori, vuol dire riattingere a quelle radici di fede che hanno prodotto in lui amore per il Vangelo e per i suoi ragazzi. Poi ha lasciato scritto sul registro del cimitero questo pensiero: «Don Lorenzo, servo buono e fedele, radicato nella fede di Cristo, hai dato testimonianza al tuo Signore».

Non ci sono parole più appropriate per definire chi è stato don Lorenzo. Infatti per capire a fondo le sue scelte, le sue posizioni, le sue battaglie per gli ultimi, occorre sempre tenere presente che era un prete che sosteneva le sue scelte alla luce del Vangelo che applicava a sé senza alibi e compromessi con l’integrità del convertito che ha trovato nel sacerdozio una verità di fede a lungo inseguita. Si fa maestro dentro un preciso programma pastorale con l’obiettivo di dare dignità e parola ai poveri che aveva scelto di servire con il sacerdozio. Poi a lui la scuola riusciva perchè sapeva testimoniare e vivere con coerenza ciò che diceva. Sul piano divino, affermava ci vuole la grazia, su quello umano l’esempio. Non vi era mai frattura tra pensiero e parola, tra il dire e il fare. Quando insegnava sprigionava una forza incredibile che investiva e coinvolgeva chi lo ascoltava. Forse molta di questa sua energia sta proprio nell’aver saputo coniugare la forza della fede con quella dell’amore della gente di cui Dio lo aveva circondato.

La scuola di Barbiana era una scuola che aveva al centro il ragazzo, i suoi bisogni, le sue necessità di crescere, di sbocciare. Una scuola dove si andava per imparare e non per essere giudicati, che indicava al ragazzo sempre un obiettivo nobile e alto per cui studiare e cioè la presa in carico dei problemi della vita, del suo cambiamento. Una scuola che non esclude, ma costruisce l’uomo del domani.  In quella esperienza la funzione sociale della scuola non si esaurisce nella coscienza del bene comune, ma è anche «l’arte delicata di condurre i ragazzi sul filo del rasoio, capace di formare in loro da una parte il senso della legalità e dall’altra la volontà di leggi migliori».

  n questo il maestro deve essere «quanto possibile profeta, cioè scrutare i segni del tempo» per vedere prima di altri il futuro e operare per anticiparlo. Un maestro che alza continuamente il tiro e propone al ragazzo di guardare sempre alto, consapevole come era, che la buona scuola è la madre del cambiamento di ogni società, mentre la cattiva scuola ne è la conservazione. Il buon maestro guida il ragazzo verso il futuro dando un senso, un obiettivo al sapere che deve essere sempre nobile come lo studiare per il riscatto di una condizione di inferiorità.

Ancora oggi dopo 42 anni don Lorenzo e la sua scuola sono da tanti considerati un faro che illumina, questo perché si sente che attualmente si sta vivendo un clima di decadimento morale che in questi ultimi tempi è diventato davvero soffocante, si avverte in molti allarme e preoccupazione per la ricaduta che questo clima può avere sulle nuove generazioni.

A buona ragione si parla da più parti di emergenza educativa, vi è consapevolezza che occorre partire dai giovani per invertire la rotta e dare vita a una società formata da individui responsabili, capaci di scelte autonome, lontani dalle manipolazioni e dai falsi miti che quotidianamente ci vengono proposti.

In tal senso Barbiana ha molto ancora da dire. Lo vedo dall’interesse e dall’attenzione con cui le decine di scolaresche che ogni anno salgono a Barbiana a visitare i luoghi di don Lorenzo, seguono la spiegazione sul Percorso Didattico. Nei loro occhi c’è curiosità e ammirazione. Le loro domande diventano via via più dettagliate e interessanti. Vogliono sapere quante ore si studiava, a che età il priore ci mandava all’estero per imparare le lingue, conoscere altre realtà e altre persone. Quando il gruppo, riparte, si avverte che questa esperienza l’ha arricchito, che forse ci può essere un altro modo di «passare il tempo», di diventare adulti. Lo stesso entusiasmo lo si coglie nelle riflessioni che successivamente alcuni di loro  inviano alla Fondazione.

Oggi Barbiana è irripetibile e quindi non può essere un modello da imitare, però è sicuramente un esempio da recepire, riproponendo quei valori che alla sua scuola erano pane quotidiano: il senso della legalità, della solidarietà, della scelta politica al servizio dell’altro, della giustizia ecc.

La gioventù è l’età degli sbandamenti, dei colpi di testa, ma è anche l’età dei sogni, dei desideri e degli ideali: sta al maestro riuscire a far vibrare in loro la giusta e buona corda.