Opinioni & Commenti

La qualità morale del futuro dipende dalle nostre scelte

 Rispetto a tutto questo, molti commentatori autorevoli hanno spiegato che quello che era in questione era, essenzialmente, la tenuta del nostro sistema istituzionale e del delicato equilibrio di poteri che per Settant’anni ha retto la vita dello Stato, messo a rischio dallo scontro fra la rivendicazione delle prerogative qualificanti le istituzioni più alte della Repubblica e una maggioranza parlamentare che, investita dal consenso elettorale, pretende di essere interprete esclusiva della sovranità. Altri hanno invece rimarcato la questione della collocazione europea e internazionale dell’Italia e del suo ruolo nelle prossime evoluzioni del progetto politico europeo, oltre che del peso e dell’importanza del nostro paese dentro il sistema economico globale.

Questi tratti di una crisi politico-istituzionale, sono l’esito tangibile di processi ben più profondi e di cui misuriamo oggi la portata storica: movimenti che hanno cambiato la geografia della nostra realtà così che il trauma istituzionale di oggi diventa il segno di un crinale storico in cui l’Italia vive una profonda crisi della propria vita democratica. Là dove il riferimento alla «democrazia» non è riducibile al solo momento istituzionale e alle sue specifiche procedure, ma ad uno stile nel quale l’uguaglianza fra gli individualità si somma al riconoscimento doveroso delle qualità di ciascuno, da preservare e comporre dentro un orizzonte comune. L’accezione istituzionale e quella sociale della democrazia sono difficilmente scindibili a meno di non svuotare le forme del suo spessore politico.

Eppure è questo quello di cui oggi viviamo gli effetti, perché il vero nodo del contendere, attorno a cui si coagulano argomentazioni radicali, è esattamente il senso e il valore del termine «democrazia». Da un lato vi è una Carta costituzionale che, memore dell’esperienza drammatica del «secolo breve», esprime la democrazia come esercizio di una sovranità da parte del popolo da compiere «nelle forme e nei limiti della Costituzione», anteponendo cioè diritti e doveri, e dunque la persona, ad un esercizio dell’autorità privo di limiti. Dall’altro vi è un’idea di democrazia intesa come attribuzione del potere ad una classe dirigente, la quale assume su di sé un ruolo di interprete delle istanze dei cittadini e che non ammette limiti, non tanto all’attuazione di un programma di governo o di iniziative legislative quanto nell’esercizio del potere tout court.

Si è osservato che il voto italiano esprime il senso di smarrimento che pervade la trama sociale, economica, culturale e politica delle nostre società e che si è espresso in quelle periferie sociali che oramai arrivano anche nel centro delle nostre città. Eppure, quello smarrimento è anche la denuncia di un futuro ancora inespresso: quello in cui si pensa la democrazia come governo di un conflitto e di una polarità fra persone e comunità, dunque fra portatori di diritti e doveri, che non può e non deve essere ridotta ma assunta come qualità di una realtà che resiste ad ogni tentativo di uniformità e che in ultima istanza reagisce ad ogni tentativo di conformismo perché la pluralità, con le sue tensioni, è l’origine di ogni dinamica sociale, economica, religiosa. È qui che si apre non solo lo spazio della politica, ma quello della cultura, che sa cogliere in momenti anche così drammatici i segni di un futuro la cui qualità morale dipende tutta dalle nostre scelte.