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La riforma elettorale e il tema delle alleanze

Nel gran dibattito sulle alleanze che in negativo o in positivo alimenta quasi quotidianamente le cronache politiche – e con nuova lena dopo le elezioni comunali – ci sono due «non-detti», o detti molto sottovoce, che rendono il discorso vagamente surreale e a cui è opportuno che i cittadini elettori pongano attenzione.

Innanzitutto il fatto che ancora non si conosce con certezza il sistema elettorale con cui si andrà alle urne. Il presidente della Repubblica è tornato saggiamente a incoraggiare le forze politiche affinché trovino l’accordo su una legge elettorale che superi le vistose contraddizioni tra il sistema attualmente in vigore per la Camera e quello vigente per il Senato, entrambi derivati da sentenze della Corte costituzionale (per questo ribattezzati Consultellum). Ma ha anche realisticamente ricordato che tra febbraio e l’inizio della primavera (quindi tra otto-nove mesi) la legislatura arriverà a scadenza naturale e quindi si andrà a votare con gli strumenti che ci saranno in quel momento. Se si dovesse votare con il Consultellum, almeno alla Camera il discorso delle alleanze non avrebbe letteralmente senso perché quel sistema disincentiva le coalizioni e per ottenere seggi è sufficiente ottenere il 3% dei consensi, una soglia alla portata di quasi tutti i soggetti politici in campo, già sperimentati o di nuova costituzione.

Di riforma elettorale il Parlamento tornerà a discutere a settembre. In quel frangente la concomitanza con la legge di bilancio – passaggio cruciale dell’ultimo scorcio della legislatura – non sembrerebbe proprio il miglior viatico per un confronto positivo tra le forze politiche. Viceversa, potrebbe giovare la considerazione che a quel punto il tema delle elezioni anticipate sarebbe materialmente fuori gioco. Tema che invece rappresentava un elemento decisivo del dibattito che all’inizio di giugno si è bruscamente arenato, quando in Parlamento sembrava ormai a portata di mano l’accordo su un sistema elettorale liberamente ispirato al modello tedesco.

Ma anche quel sistema – pur preferibile allo status quo – non avrebbe consentito agli elettori di scegliere la maggioranza di governo, destinata a essere costruita dopo il voto con accordi tra le forze presenti in Parlamento. Il che può non piacere, ma non ha in sé nulla di eversivo ed è sia pure indirettamente in sintonia con la vittoria dei «no» al referendum costituzionale. Però è un dato cruciale di cui gli elettori devono essere consapevoli, mentre si tratta del secondo elemento tenuto sullo sfondo dai partiti, che non hanno alcun interesse a dichiarare prima delle elezioni le potenziali alleanze del dopo.

Il discorso sulle alleanze, inoltre, è (dovrebbe essere) subordinato a quello sui programmi. Opzioni precise, verificabili, realistiche, non slogan dietro cui ci si lascia un’indefinita libertà di manovra. Soprattutto in assenza di una legge elettorale adeguata, che almeno gli elettori siano messi nelle condizioni di poter compiere delle scelte consapevoli. Magari tenendo conto dei comportamenti delle forze politiche in questi ultimi mesi di legislatura, che sono comunque un tempo prezioso per le urgenze del Paese.