Opinioni & Commenti

Le banche messe in crisi dal loro stesso nuovo modello

Tutto il settore mostra da anni i segni di una debolezza intrinseca generata anche dall’incapacità di fare sistema e di immaginare un modello creditizio basato sulla sostanza produttiva e non sulla volatilità della speculazione finanziaria. E nella nostra regione il sistema creditizio è particolarmente fragile tale da compromettere forse anche l’aggancio ad una possibile debole ripresina. Al Monte dei Paschi devono essere aggiunte anche la Popolare dell’Etruria e del Lazio, e le evidenti difficoltà in cui versano le poche realtà rimaste autonome come le residue Casse di Risparmio. Anche il settore delle Banche di credito cooperativo mostra segni di gravi difficoltà.

La scarsa qualità degli impieghi sta diminuendo visibilmente le erogazioni di credito. Le piccole imprese sono nei guai, i fallimenti sono sempre più frequenti e il risparmio delle famiglie si sta prosciugando. Meno lavoro, meno reddito, maggiori difficoltà ad onorare i prestiti: un circolo vizioso che va spezzato.

Il nostro grido d’allarme è anche e soprattutto una mano tesa ai principali soggetti istituzionali per fare squadra e provare tutti insieme a cambiare la direzione di marcia dell’autobus creditizio. Siamo consapevoli che la crisi ha dimensioni che trascendono i confini della nostra regione. Ma la Regione, è istituzione attorno alla quale è possibile organizzare un valido presidio di resistenza. Pensiamo alla breve esperienza degli Osservatori sul credito presso le Prefetture, introdotti con successo ma poi rimossi: uno strumento pro-attivo in grado di ri-orientare le decisioni strategiche delle banche oggetto dei rilievi dell’Osservatorio stesso. Questo strumento andrebbe ripreso e sviluppato, così come il ruolo preziosissimo esercitato da Fidi Toscana, per il quale ci chiediamo se non possa essere ulteriormente ampliato.

Nel nostro immaginario c’è un’idea di banca che fa del servizio al territorio e non della speculazione la sua ragione di vita profonda. Per arrivare a questo serve un cambiamento di paradigma radicale, una cultura diversa, tornare all’idea che «credito» significa «fiducia» e sostegno alla progettualità e al benessere collettivo. Se negli anni ’90 in Toscana erano presenti decine di piccole banche e casse di risparmio, con le fusioni, acquisizioni e accorpamenti degli ultimi anni il panorama si è semplificato spostando in molti casi le sedi decisionali verso il nord dell’Italia, lasciando a mantenere in qualche misura il presidio territoriale solo le banche di credito cooperativo, allo stesso tempo c’è una banca che pur partendo da una città di appena cinquantamila abitanti era riuscita a scalare la classifica delle banche nazionali.

La concomitanza di importanti processi aggregativi fa sì che i primi due gruppi – Unicredit e Intesa – abbiano raggiunto dimensioni rilevanti anche per il livello europeo, ma il Monte dei Paschi ha comunque un’importante presenza in tutto il territorio nazionale continuando ad essere in Toscana la prima o al massimo la seconda banca in ogni provincia. L’esercizio dell’attività creditizia è da sempre una leva per lo sviluppo dell’economia dei territori interessati e nei lunghi secoli della sua storia sono molte le imprese a lieto fine ascrivibili alla seconda banca più antica del mondo (la più antica ha ormai cessato la sua attività da tempo) così che quando si deve parlare di quello che sta succedendo in questi ultimi anni risulta difficile e doloroso comprenderne le logiche come se si fosse perso il filo conduttore di questa lunga storia.

Oggi, per la somma degli errori è stato necessario che lo Stato finanziasse la Banca che nei secoli aveva finanziato più di uno Stato, ci troviamo a vedere uno scontro tale tra Banca e Fondazione che a prescindere da un giudizio sulla bontà dell’una o dell’altra proposta, pare originato da una voglia di predominio nelle decisioni piuttosto che da un vero interesse per il destino dell’Istituto. Quando la Legge Amato separò la gestione delle Banche dagli Enti che a suo tempo le avevano generate trasformandole in Fondazioni, l’intenzione – condivisa o meno – era quella di affidare l’attività creditizia ad amministratori con le competenze tecniche adeguate, lasciando alle Fondazioni i compiti di distribuzione degli utili sotto forma di beneficenze e contributi a iniziative di rilevanza sociale e culturale.

La Fondazione Monte dei Paschi di Siena ha sempre avversato questo modello mantenendo nel tempo un forte controllo sulla Banca. Ha fatto bene? Sarebbe stato meglio un distacco più netto? Nella storia i se e i ma non hanno alcun valore. Oggi possiamo dire che molti dei guai della Banca e della Fondazione sono nati dal loro legame troppo stretto per mantenere il quale la Fondazione si è indebitata nel tempo oltre misura. Oggi la necessità della Banca per far fronte agli impegni di restituzione allo Stato del finanziamento ricevuto e di raggiungere i livelli di capitalizzazione previsti dalle nuove normative è quella di emettere azioni per aumentare il proprio capitale.

La Fondazione condivide, pare, questa necessità ma vuol continuare a essere un azionista rilevante (con almeno il 33% del capitale si può esercitare il diritto di veto e avere agevolmente la maggioranza nella seconda convocazione delle assemblee) e così come si è svenata per anni per mantenere il 51% del capitale, sabato 28 dicembre – come socio della Banca – ha votato per il rinvio dell’aumento di capitale, sperando che se sarà a giugno piuttosto che a marzo avrà le risorse per continuare a comprare azioni mantenendo un ruolo rilevante nella Banca. La domanda che ci dobbiamo e che anche a Siena si dovrebbero fare è se tutto ciò sia utile alla gestione della Banca e a farla uscire dalle situazione di oggettiva difficoltà in cui si trova o se è utile solamente a far mantenere alla Fondazione la possibilità di decidere su come distribuire credito, potere e dividendi. La nostra Costituzione parla di poche attività economiche in modo così esplicito come dell’attività creditizia e della gestione dei risparmi riconoscendone il valore, e dice anche qualcosa sulle motivazioni dell’imprenditore che deve nel gestire l’impresa tenere presente il bene comune, nel finire di questa lunga storia di tutto questo si è perso il senso.