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Legge elettorale, immigrati e Liberazione: prove del nove per il governo Renzi

Più che dall’esito della tornata di elezioni amministrative, prevista per la fine di maggio, è dalle mosse del governo dei prossimi giorni che sarà possibile capire, definitivamente, la caratura dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi. Il quale ha, ora più che nei mesi scorsi, la possibilità di dimostrare la propria statura di uomo di governo, rispetto a tre punti fondamentali: il varo della nuova legge elettorale, l’emergenza immigrati e il ricordo della Liberazione.

Tre questioni solo apparentemente disgiunte, perché sulla lettura che si dà del 25 aprile si basa la valutazione di fondo dell’impianto costituzionale, che il presidente del Consiglio intende rivedere a partire dall’Italicum. Questo a sua volta non è di per sè materia inerente alla Carta, ma la sua importanza è tale da sfiorare la rilevanza costituzionale (come in effetti avviene in tanti paesi). Modificarla, quindi, a colpi di maggioranza, non è certo il miglior viatico. Al contrario, una legge di tale delicatezza avrebbe dovuto essere rivista, per l’ennesima volta, dopo il venir meno dell’intesa spuria che l’aveva generata, vale a dire il Patto del Nazareno. Ora, invece, assistiamo ad un partito di maggioranza relativa che, a dispetto addirittura di una propria componente interna, impone la propria linea ad un Parlamento già di per sé umiliato da un costante ricorso alla decretazione d’urgenza.

E se le considerazioni riguardanti il metodo non sono esaltanti, quelle sul merito del provvedimento non possono essere migliori, perché l’Italicum lascia di fatto insoluti i nodi dell’eccessivo premio di maggioranza e delle liste bloccate. Questa sarà comunque materia su cui prima o poi si pronuncerà la Corte costituzionale. Nel frattempo il danno politico sarà irrimediabilmente fatto, magari attraverso un improvvido ricorso al voto di fiducia.

Settanta anni fa nasceva una nuova generazione di politici. Avevano sofferto, spesso insieme, nonostante le differenze profondissime dal punto di vista ideologico e culturale. La nostra Costituzione è figlia del 25 aprile. Nella sua essenza è e resta antifascista – con buona pace di chi, come Marcello Pera, ha sempre manifestato insofferenza per questa connotazione – perché pensata anche allo scopo di impedire la rinascita di un Uomo della Provvidenza. Ne sono scaturiti lunghi anni di prosperità e di libertà, perché grazie ad essa la Nazione ha conosciuto forse per la prima volta nella sua Storia un’era di confronto basato sul dialogo. Rincresce dover notare che, da parte dell’esecutivo, non vi sia stata una particolare spinta per una commemorazione ponderata e profonda. Tutto si è limitato ad un paio di iniziative televisive (meritorie ma insufficienti). Solo Sergio Mattarella ha avuto cura di sottolineare come la necessità di una memoria condivisa non possa prescindere dalla verità storica, e cioè che le due parti in lotta non possono essere equiparate, da nessun punto di vista.

L’ultimo tema su cui il governo deve mostrarsi capace di uno scatto è la questione degli immigrati. La strage del 19 aprile è un grido che deve colpire le coscienze di tutti. Un esecutivo che ha dimostrato di avere un certo gusto per le iniziative immaginifiche e dirompenti dovrebbe tirar fuori dal cilindro un’idea coraggiosa, di quelle che lasciano il segno e mettono tutti, dentro e fuori il Paese, di fronte alla propria responsabilità. Un gesto profetico, se si vuole, che segni la discontinuità con il passato. Non porterà voti, ma potrebbe – questo sì – scrivere la storia di domani. Il che, per un leader con l’ambizione di andare oltre una nota a piè di pagina nei testi scolastici, è una gran bella tentazione. E, per una volta, c’è da augurarsi che vi ceda.