Opinioni & Commenti

Ma i risparmiatori possono ancora fidarsi delle banche?

Diverse sono le preoccupazioni che agitano i sonni di banchieri, risparmiatori e politici per la crisi delle banche italiane ed europee. Gli azionisti vedono bruciare diverse decine di miliardi del valore dei loro titoli bancari. Tra le prime quattro banche, Mps perde da inizio anno il 75%; Banca Intesa quasi la metà; Ubi Banca e Unicredit il 60%.

Soffre anche la più grande banca tedesca, la Deutsche Bank, sotto osservazione dalla Vigilanza Usa per il forte rischio derivati. Dopo la Brexit, la pubblicazione di una lettera inviata a Mps dalla Vigilanza europea (Ssm) ha scatenato altri ribassi.

I problemi delle banche sono tanti: la tecnologia che permette di compiere le operazioni col PC o lo smartphone, i troppi sportelli, i dipendenti, troppo pagati; la sfiducia dei risparmiatori dopo la scoperta, dei rischi di «bail in», in caso di default; la crisi economica e i fallimenti di tante imprese, grandi e piccole, specie del settore immobiliare con montagne di debiti insoluti; la politica di tassi zero della Bce che, riducendo i ricavi bancari causa i bassi rendimenti dei loro investimenti, impedisce la copertura dei costi e la capacità di reddito.

Nella lettera il Ssm chiede che Mps venda sul mercato, entro tre anni, 10 dei 27 miliardi di sofferenze. Una richiesta scontata, che ha agito da detonatore per una fiammata speculativa contro tutte le banche europee, in particolare verso le nostre. Ciò pure nella previsione che dagli stress test dell’Eba (European banking authority) di fine luglio, emergano aumenti dei rischi. In conclusione, la crisi tocca tutta l’Europa, ma da noi è più forte. Il problema da risolvere viene dalle sofferenze: 200 miliardi lordi di crediti difficilmente recuperabili, 85 netti dopo che le banche li hanno svalutati al 42,5%. Cioè su 100 euro di sofferenze prevedono di recuperarne 42,5. Mps e le altre grandi banche le valutano ancora meno, al 40%. Tale valutazione, considerate le garanzie e le possibilità di recupero, è corretta e recuperabile nel tempo con le azioni giudiziali (escussione garanzie, vendita immobili, etc.) ora agevolate dalle norme governative volte a sveltire le procedure. Però, se le banche vengono costrette a venderne all’asta una parte consistente, il ricavo sarà molto minore, probabilmente la metà.

I motivi di una così gran differenza tra valore di bilancio e di cessione è facilmente comprensibile. Non esiste un mercato sviluppato dei crediti in sofferenza e pesa molto l’asimmetria informativa tra le banche, che conoscono, cliente per cliente, quanto valgono le garanzie e le possibilità di recupero. I pochi grandi investitori esteri, che poco sanno delle situazioni specifiche, volendo guadagnarci, li potrebbero acquistare solo a prezzi molto bassi. Siamo di fronte a un classico esempio di stupidità della regolamentazione e dell’azione di Vigilanza; un eccesso di zelo che produce il risultato opposto a quello voluto. Il risultato di peggiorare ulteriormente la situazione, il che richiederà risorse maggiori di quelle necessarie per il risanamento.

Le banche europee sono regolamentate e vigilate da due enti lontani: l’Eba e il Ssm, nati da poco, senza l’esperienza, la tradizione e l’autorevolezza delle autorità di vigilanza nazionali e composti da personale dei vari paesi europei. Non idonei quindi ad assumere le decisioni immediate ed efficaci richieste dal momento attuale. Scrivere lettere come quella di cui si parla, fare esercizi di stress, è come se ad un cavallo stanco perché ammalato di polmonite, invece di somministrare farmaci, lo si spronasse a correre più forte. Allo stesso modo, l’azione dei regolatori europei e le richieste zelanti dell’autorità di Vigilanza europea sembrano finalizzate non alla ripresa del sistema bancario (ammalato di tassi e rendimenti zero, di inflazione e crescita zero, di rendimento dei titoli sovrani zero, di sofferenze e – per alcune banche estere – pure di derivati) ma ad aggravarne la malattia, aiutando involontariamente e pur seguendo sani principi, la speculazione. L’unica che ci guadagna in questa situazione.

Per fortuna alcune dichiarazioni di buon senso da Bruxelles e Francoforte hanno riportato una certa calma. Un membro del Consiglio di sorveglianza della Bce ha dichiarato che «il sostegno pubblico alle banche propriamente regolamentato e controllato è una componente fondamentale di un sistema bancario ben strutturato». La mattina di lunedì 11 luglio la sorpresa: la proposta di un fondo da 150 miliardi avanzata dal capo economista di Deutsche Bank in una intervista alla «Welt Am Sonntag». «L’Europa è estremamente malata e deve iniziare ad affrontare i suoi problemi velocemente, o potrebbe esserci un incidente», ha dichiarato, spiegando di non essere «un profeta di sventura, ma un realista». L’esponente di «Deutsche» ha aggiunto che «L’Europa ha urgentemente bisogno di un fondo a tutela della banche di 150 miliardi di euro, per permettere e favorire la ricapitalizzazione degli istituti in difficoltà, italiani ma non solo». Una proposta interessata questa, che arriva mentre sono in corso i negoziati tra il nostro governo e Bruxelles per una soluzione nella gestione dei Npl.

Se l’Italia soffre, la Germania non ride. Sarà forse dalle difficoltà del sistema tedesco che verrà la soluzione anche per le banche nostrane. In questo clima cosa rischiano i risparmiatori? In realtà poco o nulla. Le regole sul «bail in» nella interpretazione più rigida, prevedono che un intervento pubblico sulle banche in crisi (nessuna delle nostre è tale) possa essere effettuato dopo che vi concorrano azionisti ed obbligazionisti per l’8% del passivo. Poiché azioni e obbligazioni ammontano a più dell’8%, i depositanti e i correntisti non corrono alcun rischio. Gli obbligazionisti forse, ma il nostro governo, ed anche quelli degli altri paesi europei, sembrano ormai concordi nel trovare il giusto modo per spegnere l’incendio.

Come avverrà non lo sappiamo ancora ma l’intervento con fondi pubblici a sostegno di Mps pare scontato. Probabilmente già nel corso di questi giorni. Rimane tuttavia fermo il principio etico della responsabilità. Ogni intervento pubblico non deve toccare in modo sbagliato i diritti dei cittadini. Chi ha avuto responsabilità deve risponderne. Non sarebbe corretto che i responsabili della cattiva gestione delle banche siano gli stessi cui viene chiesto di gestire il cambiamento. Se dal salvataggio del sistema bancario verrà un rinnovo della classe dirigente delle banche, italiane ed europee, allora i denari impiegati allo scopo, saranno ben spesi.