Opinioni & Commenti

Per una legge dei più deboli ispirata a solidarietà e accoglienza

Destano particolare raccapriccio le notizie relative alle bambine di soli 8-10 anni o poco più mandate a morire come kamikaze per uccidere persone innocenti a solo scopo di terrorismo, o quelle che denunciano la presenza, su vari fronti, di migliaia di «bambini soldato». Vanno anche ricordate le tante guerre «civili» che, in modo ormai endemico, seguitano a mietere vittime fra popolazioni inermi e pacifiche in molte parti del mondo. C’è davvero bisogno di preghiera e di penitenza.

Serve un nuovo ordine mondiale fortemente ispirato a principi di tolleranza, solidarietà, accoglienza, dialogo e capace di condannare senza mezzi termini il ricorso a qualsiasi forma di violenza e il dissennato commercio degli armamenti. Non è con la forza che si affermano i diritti o si trovano le mediazioni.

L’uso della prevaricazione verbale o dei «muscoli» o delle armi trasformano l’uomo in lupo e rendono la società invivibile. Le leggi del più forte generano sempre ingiustizia e morte. I più deboli diventano lo scarto di cui parla spesso il Papa Francesco: vite da usare e da gettare quando diventano inutili o fastidiose. Sono chiare e forti le parole del Santo Padre a questo proposito: «Di fronte alla cultura dello scarto, che relativizza il valore della vita umana, i genitori sono chiamati a trasmettere ai loro figli la consapevolezza che essa deve essere sempre difesa, sin dal grembo materno, riconoscendovi un dono di Dio e una garanzia del futuro dell’umanità». (Messaggio in occasione della settimana nazionale della famiglia in Brasile, luglio 2014).

Nel suo primo documento «programmatico», la Esortazione apostolica «Evangelii Gaudium» (al n° 213), aveva già scritto: «Tra i deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri che sono i più indifesi e innocenti, ai quali oggi si vuol negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo».

Leggi che innescano semi di violenza e concorrono a creare quel «pensiero dominante» che, secondo l’espressione del Papa «propone a volte una falsa compassione: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica produrre un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come un dono, o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne, presumibilmente, altre. La compassione evangelica, invece, è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano». (Discorso ai medici cattolici, 15 novembre 2014).

L’invito esplicito di Papa Francesco, in linea con quello che da sempre è l’insegnamento della Chiesa, non lascia dubbi: in nessuna circostanza e per nessuna ragione «è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema». È necessario, invece comportarsi come il Samaritano che «vede, ha compassione, si avvicina e offre aiuto concreto». Questo vale per gli Stati (no alle guerre, a leggi che consentono la soppressione di vite umane, a partire dalla pena di morte, e ad ogni forma di oppressione) e per le singole persone. È questo anche l’invito dei Vescovi italiani che, in occasione della XXXVII giornata per la vita, intitolano il loro messaggio annuale con lo slogan: «Solidali per la vita».Per le comunità cristiane l’indifferenza è uno dei più gravi scandali. Purtroppo, come ammonisce Papa Francesco, «siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro: non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!». Le donne o le coppie che sono in difficoltà per l’arrivo di una nuova vita non possono essere lasciate sole perché la loro sofferenza è grande, non si può dire semplicemente: «Arrangiati». Occorre «vedere», «comprendere», «avvicinarsi» e «offrire aiuto concreto».

Si può fare davvero molto come è dimostrato dall’esperienza dei circa 340 Centri di aiuto alla vita italiani, il primo dei quali è nato a Firenze nel febbraio del 1975 e che ha contribuito a far nascere, in questi 40 anni di attività, circa 4.500 bambini, molti dei quali non avrebbero mai avuto il dono della vita. Quel dono che viene negato in Italia ogni anno, con l’aborto volontario, ad almeno centomila esseri umani, come ricordano i Vescovi nel loro messaggio, aggiungendo che anche queste mancate nascite contribuiscono «al preoccupante declino demografico che stiamo vivendo» particolarmente in Italia.

Il messaggio dei Vescovi che comprende, fra l’altro, un appello alle Istituzioni perché sia reso più facile e meno oneroso il percorso per le adozioni e gli affidi, si conclude con un richiamo forte alla solidarietà e con un esempio concreto di ciò che si potrebbe fare in prima persona, oltre al sostegno da offrire alle tante strutture organizzate quali, ad esempio, i Centri di aiuto alla vita.

«La solidarietà verso la vita» – suggeriscono i Vescovi – «può aprirsi anche a forme nuove e creative di generosità, come una famiglia che adotta una famiglia. Possono nascere percorsi di prossimità nei quali una mamma che aspetta un bambino può trovare una famiglia, o un gruppo di famiglie, che si fanno carico di lei e del nascituro, evitando così il rischio dell’aborto al quale, anche suo malgrado, è orientata». Il messaggio che le comunità cristiane possono e devono dare oggi, non a parole ma con i fatti, è dunque questo: è l’Amore che potrà salvare l’umanità dallo stato di degrado verso il quale sta precipitando così velocemente. Ogni piccolo gesto di attenzione e di condivisione che ognuno potrà fare per il prossimo e particolarmente nei confronti di chi è in grave difficoltà per portare avanti una gravidanza, sarà un piccolo passo in avanti per salvare l’umanità intera dal decadimento verso la barbarie del disprezzo per la vita umana e dell’indifferenza per chi soffre nella porta accanto o lontano dalla propria casa.

Il messaggio dei vescovi per la XXXVII Giornata per la vita